Marito traditore: la separazione è con addebito – Cass. 12794/21
Il tradimento del marito confessato fuori dal giudizio e l’avvio di una mediazione familiare da parte dei coniugi sono elementi sufficienti per ritenere provato il tradimento e, unitamente alle altre condizioni, per ritenere che la crisi coniugale sia causalmente cagionata dal suddetto tradimento, e, dunque, addebitabile al coniuge fedifrago.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 12 gennaio – 13 maggio 2021, n. 12794 – Presidente Di Marzio – Relatore Falabella
Fatti di causa
1. – Con sentenza pubblicata il 16 novembre 2018 la Corte di appello di Firenze riformava per un profilo che qui non interessa, afferente la determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli, la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Pistoia nel giudizio avente ad oggetto la separazione personale dei coniugi N.S. e M.E. . La stessa Corte rigettava, per contro, i motivi di impugnazione svolti dal predetto N. con riguardo all’addebito della separazione in questione.
Osservava la Corte fiorentina che in primo grado N. non aveva mai contraddetto la riferibilità alla sua persona delle emergenze telematiche relative a frasi dimostrative di una relazione sentimentale; rilevava, inoltre, che la circostanza relativa all’intrattenimento, da parte del marito, di una relazione extraconiugale, era stata oggetto di una confessione stragiudiziale resa da N. e che quanto dallo stesso dichiarato trovava conferma sia nel contenuto inequivoco dei messaggi acquisiti al giudizio, sia nel percorso di mediazione coniugale avviato dei coniugi, non pervenuto a buon fine. Da ultimo, la Corte di merito precisava che il prelievo di denaro da parte di M.E. e l’abbandono della casa coniugale nel corso dell’anno 2014 non assumevano rilievo, ai fini del giudizio di addebito della separazione “atteso il loro logico collegamento con la condotta fedifraga del marito e il difetto di prova in ordine alla già avvenuta compromissione dell’unità matrimoniale all’epoca del tradimento, che i testi affermano ammesso nel febbraio 2013 per i fatti di fine anno 2012”.
2. – N.S. ha impugnato la pronuncia d’appello con un ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Resiste con controricorso M.E. . Il ricorrente ha depositato memoria.
3. – Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in punto di valutazione della prova rappresentata dalla corrispondenza telematica prodotta in giudizio e dalle prove orali dei testi indotti dalla controparte, in combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c., oltre che la violazione dell’art. 2712 c.c.. Viene dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, il ricorrente aveva in più occasioni smentito di essere l’autore dei messaggi inoltrati per via telematica i quali attesterebbero l’esistenza della relazione extraconiugale.
L’istante lamenta, inoltre, che la Corte territoriale, confermando l’operato del giudice di primo grado, abbia ritenuto che dalle comunicazioni telematiche fosse possibile risalire, attraverso un procedimento induttivo al fatto ignoto, costituito dalla relazione extraconiugale. Viene osservato, al riguardo, che l’esame degli indizi emersi nel corso del procedimento non avevano i connotati della gravità della precisione e della concordanza, tenuto conto anche del rapporto di parentela intercorrente tra i testi escussi ed M.E. . Il ricorrente contesta, infine, il rilievo che potrebbe assumere, nel quadro dell’indagine circa la prova della detta relazione, il percorso di mediazione coniugale avviato dai coniugi.
Il motivo, che prospetta plurime censure, è nel complesso infondato.
In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c. il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. 2 settembre 2016, n. 17526; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3122). In tal senso, non possono quindi ritenersi espressive del dedotto disconoscimento le deduzioni, richiamate dal ricorrente (pag. 9 del ricorso), secondo cui lo stesso “non aveva mai dato inizio ad alcuna relazione affettiva in costanza di matrimonio” o in cui si è assunto “l’infondatezza delle affermazioni della M. circa la supposta esistenza di una relazione extraconiugale del sig. N. “.
D’altro canto, il rilievo per cui l’odierno istante, a fronte della produzione in giudizio delle evidenze telematiche, avrebbe smentito che quanto rappresentato nella documentazione corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta (sempre pag. 9 del ricorso) appare del tutto generico e carente di autosufficienza: infatti, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469).
Analoghe considerazioni andrebbero svolte con riferimento al richiamo, operato dallo stesso ricorrente, alle deduzioni da lui svolte nella memoria ex art. 190 c.p.c. (ove si sarebbe fatta menzione della possibile artificiosa realizzazione del messaggio: pagg. 9 s. del ricorso): ma sul punto è assorbente l’osservazione per cui il disconoscimento soggiace a precise preclusioni processuali (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1250, che menziona, in proposito, quelle desumibili dagli artt. 167 e 183 c.p.c.), onde non può essere certamente svolto con gli scritti conclusionali.
La doglianza incentrata sull’uso, asseritamente scorretto, delle presunzioni non è, poi, concludente.
L’accertamento del giudice del merito poggia, difatti, su elementi di prova non indiziaria: non solo sulle comunicazioni telematiche (che comunque, secondo l’insindacabile giudizio della Corte di appello, contenevano espressioni dal significato inequivoco, e cioè “frasi amorose e dimostrative della relazione sentimentale”: pag. 4 della sentenza impugnata), ma anche sulla confessione stragiudiziale di N.S., che è stata liberamente apprezzata dal giudice, a cui competeva, con valutazione non sindacabile in cassazione, in quanto adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 15 dicembre 2008, n. 29316): sul punto la Corte ha ricordato che N. aveva ammesso la propria relazione extraconiugale e di non poterla interrompere (pagg. 4 s. della sentenza impugnata) e che quanto dichiarato dal ricorrente trovava conferma nel contenuto dei messaggi acquisiti al giudizio e nel percorso di mediazione che i coniugi avevano intrapreso (elemento, quest’ultimo, che la Corte evidentemente correla alla insorta crisi del rapporto, attraverso un giudizio che, per inerire a circostanze di fatto, sfugge al sindacato di legittimità). Non possono trovare ingresso, nella presente sede, nemmeno le riserve espresse dal ricorrente circa l’attendibilità dei testi escussi, visto che la valutazione relativa compete al giudice del merito (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).
2. – Col secondo mezzo è formulata una censura di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo alla valutazione della prova circa il prelievo non autorizzato di somme di denaro da parte della controricorrente odierna dal conto corrente intestato a N.S. . La contestazione investe il profilo attinente alla successione temporale che fosse possibile stabilire tra la scoperta nella relazione extraconiugale e l’operazione consistita nell’attuato prelievo.
Il motivo è inammissibile.
Esso adombra la supposizione che la scoperta della relazione extraconiugale di N. sia successiva al prelievo operato dalla controricorrente sul conto dello stesso istante e quindi ininfluente sul piano della addebitabilità della separazione. La Corte di appello ha tuttavia accertato – come si è detto – che l’operazione posta in atto da M.E. e l’abbandono della casa coniugale non possano essere considerati causa della compromissione dell’unione matrimoniale, valorizzandone il “dogico collegamento con la condotta fedifrega del marito” (che ha quindi ritenuto la vera e propria origine, sul piano eziologico, delle nominate condotte): tale accertamento è insindacabile in questa sede. Mette conto di aggiungere che l’istante svolge il motivo di impugnazione sulla scorta delle risultanze istruttorie, reputate idonee a suffragare l’opinione espressa col ricorso: tuttavia il non corretto apprezzamento delle risultanze probatorie non può essere denunciato per cassazione lamentandosi la violazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass. 28 febbraio 2018, n. 4699) o quella dell’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867).
3. – Il ricorso è dunque respinto.
4. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
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