Gli imputati erano stati condannati per essersi introdotti in un appartamento disabitato, adibito a deposito e parzialmente arredato, e averlo occupato.
Gli imputati erano senza fissa dimora.
Secondo la Corte di cassazione, la fattispecie concreta è stata correttamente configurata nell’ipotesi di reato prevista dall’art. 614 c.p. (Violazione di domicilio), nella sua manifestazione aggravata dalla violenza sulle cose.
La giurisprudenza di legittimità, sul punto, ha risolto i dubbi circa il concetto di “domicilio” a fini penalistici, affermando che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Nel caso in esame, l’appartamento al cui interno si sono introdotti gli imputati, dopo averne effratto una porta finestra, pur essendo disabitato, era utilizzato dal proprietario come deposito di oggetti nella sua disponibilità, tanto da essere parzialmente arredato e da far sì che egli vi si recasse quotidianamente, anche con finalità di controllo.
La corte d’appello, ha rinvenuto i caratteri di configurabilità della nozione di domicilio e di privata dimora, nella volontà di escludere terzi dall’ingresso e dall’uso dell’immobile senza il consenso del titolare e l’essere destinato l’appartamento ad atti della vita privata.
Inoltre si è precisato che, ai fini della configurazione del reato di violazione di domicilio, il concetto di privata dimora è più ampio di quello di casa d’abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di atti di vita privata.
Il concetto di “attualità dell’uso” non implica la sua continuità e, pertanto, non viene meno in ragione dell’assenza dell’avente diritto, la quale, qualora non sia accompagnata da indici rivelatori di un diverso divisamento, non comporta affatto, di per sé sola, la volontà di non tornare ad accedere all’abitazione né quella di abbandonare il domicilio.
Ne deriva che integra il reato di violazione di domicilio la condotta di chi si introduca, contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, in un appartamento di proprietà altrui, adibito a deposito di oggetti personali e saltuariamente visitato nonché regolarmente chiuso e periodicamente sorvegliato da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto.
Va segnalato, inoltre che, nella fattispecie, secondo i giudici della Corte di cassazione, non è invocabile la causa della particolare tenuità di cui all’art. 131 bis c.p.
Dalla sentenza impugnata si evince che vi sono stati danni non lievi prodotti alla proprietà della persona offesa in seguito alla rottura della porta finestra, attraverso la quale i due ricorrenti si sono introdotti nell’appartamento.
Altra ragione ostativa alla configurabilità di un’ipotesi di particolare tenuità del fatto è stata individuata nelle modalità della condotta: l’ingresso abusivo era avvenuto con violenza sulle cose; tale condotta, secondo i giudici, era indicativa di una particolare disinvoltura criminale dei ricorrenti.
Il provvedimento che esclude la particolare tenuità è in linea con la giurisprudenza di cassazione che ha chiarito come, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
Cass. pen., sez. V, ud. 15 luglio 2021 (dep. 13 settembre 2021), n. 33860 – Presidente Miccoli – Relatore Brancaccio
Ritenuto in fatto
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Asti del 14.1.2016, con cui gli imputati M.H. e E.J.H. erano stati assolti, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., dal reato di cui all’art. 633 c.p. in concorso tra loro – così riqualificata la contestazione di concorso in violazione di domicilio aggravata -, li ha condannati alla pena di sei mesi di reclusione ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata dell’art. 614 c.p., comma 4, nuovamente qualificando i fatti come violazione di domicilio aggravata. I due coimputati sono accusati di essersi introdotti nello stabile di proprietà altrui, disabitato ma adibito a deposito e parzialmente arredato, allo scopo di trascorrervi la notte, essendo senza fissa dimora.
2. Propongono ricorso gli imputati mediante due distinti atti di impugnazione.
3. Il ricorso di M.H., formulato dal suo difensore d’ufficio, deduce due motivi.
3.1. Il primo argomento difensivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avuto riguardo alla ritenuta non configurabilità di un’ipotesi di “particolare tenuità” nel caso di specie: non sarebbe stata applicata quella valutazione complessiva di tutte le circostanze di accadimento dei fatti, che avrebbe portato a concludere per la sussistenza di un’ipotesi ex art. 131-bis c.p., stante la condizione dei coimputati di persone senza fissa dimora, che avevano solo cercato riparo per una notte nello stabile disabitato, e la loro miseria ed emarginazione sociale; inoltre, si sottolinea l’esiguità del danno arrecato, consistito nella rottura del vetro di una portafinestra e l’inidoneità della condotta a costituire espressione di propensione alla violazione delle norme a difesa della proprietà (l’imputato ha un precedente penale per furto in abitazione), per l’evidente volontà degli imputati di introdursi nell’abitazione ove sono stati poi trovati soltanto allo scopo di cercare riparo per trascorrere la notte. Infine, la valutazione sulla personalità del reo desunta dai precedenti penali è distinta dal piano oggettivo entro cui si muovono i caratteri di configurabilità della particolare tenuità del fatto.
3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione manifestamente illogica e carente quanto alla dosimetria sanzionatoria, sproporzionata rispetto alla gravità del fatto commesso, lamentando soprattutto il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta aggravante.
4. Il ricorso di E.J.H. è stato proposto dal suo difensore di fiducia e deduce un unico motivo con cui lamenta violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica e carente, in relazione all’art. 131-bis c.p. e art. 614 c.p., comma 4.
Sarebbe errata sia la qualificazione del reato come violazione di domicilio, avendo applicato la Corte d’Appello un concetto di domicilio non corrispondente a quello corretto, sia la valutazione sull’abitualità del reato, ostativa alla particolare tenuità e desunta da precedenti penali incongrui (due condanne per reati contro il patrimonio: furto e rapina; cinque condanne per delitti in materia di illecita detenzione di stupefacenti), non tenendo conto della distinzione, peraltro, tra recidiva e vaglio dell’abitualità della condotta. Inoltre, non vi sarebbe prova dell’affermazione sulla consistenza non irrilevante del danno, mentre la motivazione sarebbe, dal canto suo, inidonea a sostenere il canone giurisprudenziale “rafforzato” necessario al ribaltamento decisorio in appello.
4.1. Il ricorrente ha depositato conclusioni scritte che rispondono, altresì, agli argomenti della requisitoria scritta del PG, il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi, ribadendo le censure alla sentenza impugnata, soprattutto quanto all’esclusione dell’ipotesi di particolare tenuità del fatto, evidenziando la condizione personale di miseria ed emarginazione dell’imputato, nonché i motivi a delinquere (connessi alla necessità di reperire un alloggio dove passare la notte) ed alla valutazione sull’entità del danno (criticando il richiamo del PG a massime d’esperienza).
5. Il Sostituto Procuratore Generale Dr. Tomaso Epidendio ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono complessivamente infondati, a tratti inammissibili.
2. Il ricorso proposto da M. si compone di due motivi, entrambi non meritevoli di accoglimento.
2.1. L’argomento di censura volto a contestare il mancato inquadramento giuridico del fatto contestato agli imputati come ipotesi di lieve entità è privo di pregio e, in fondo, non si confronta realmente con gli argomenti negativi espressi dalla Corte d’Appello, mirando soltanto a contraddirli, affermando la tesi difensiva che punta alla banalità della vicenda, in considerazione anche della condizione di indigenza e di povertà di vita degli imputati.
Orbene – in disparte le considerazioni di valenza sociale e umana, che non sono rilevanti nell’analisi dell’eccezione, non essendo stata dedotta un’eventuale causa di giustificazione del tipo “stato di necessità”, nè avendo il ricorso sostenuto che le precarie condizioni economiche dell’agente al momento della commissione del reato incidano sull’intensità del dolo (Sez. 2, n. 37834 del 2/12/2020, Mifsud, Rv. 280466) – il Collegio evidenzia che la Corte d’Appello, a differenza del primo giudice e con una motivazione che supera il vaglio dei criteri dettati da Sez. U, n. 33748 del 1277/2005, Mannino, Rv. 231679 per la pronuncia di riforma in appello, ha ritenuto sia la sussistenza del reato di violazione di domicilio, sia la non configurabilità di una fattispecie ex art. 131-bis c.p., alla luce dei danni non lievi prodotti alla proprietà della persona offesa in seguito alla rottura della porta finestra, attraverso la quale i due ricorrenti si sono introdotti nell’appartamento adibito da T.G.M. a deposito arredato.
Altra ragione ostativa alla configurabilità di un’ipotesi di particolare tenuità del fatto è stata individuata nelle modalità della condotta (l’ingresso abusivo in casa con violenza sulle cose), indicativa di una particolare disinvoltura criminale dei ricorrenti.
Le ragioni decisorie sono coerenti con le affermazioni di Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tuahaj, Rv. 266590 (e della conforme giurisprudenza successiva), che ha chiarito come, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di pregio, sino alla manifesta infondatezza. La dosimetria sanzionatoria è stata adeguatamente motivata dalla Corte di merito, che ha fondato le proprie ragioni sui parametri declinati dall’art. 133 c.p. e, tra questi, ha dato prevalenza, in chiave negativa, alla non modesta entità del danno provocato alla cosa altrui e, in ultima analisi, alla gravità della condotta (avendo già mostrato, in precedenza, nell’argomentare, di considerare in un’ottica di complessiva gravità del reato anche il fatto che il reato sia stato commesso da due soggetti gravati da numerosi precedenti penali, ed il ricorrente anche da un furto in abitazione, che ingloba in sé il disvalore del reato di violazione di domicilio).
3. Il ricorso di E.J. è egualmente infondato.
3.1. La fattispecie è stata correttamente configurata nell’ipotesi di reato prevista dall’art. 614 c.p., nella sua manifestazione aggravata dalla violenza sulle cose (descritta al comma 4 della medesima disposizione).
Invero, deve richiamarsi l’insegnamento delle Sezioni Unite che, nella pronuncia Sez. U, n. 31345 del 23/3/2017, D’Amico, Rv. 270076, hanno stabilito, proprio risolvendo numerosi dubbi in tema di concetto di “domicilio” a fini penalistici (in particolare esaminando le condizioni di configurabilità del delitto previsto dall’art. 624-bis c.p.), che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Ebbene, nel caso di specie, l’appartamento al cui interno si sono introdotti gli imputati, dopo averne effratto una porta finestra, pur essendo disabitato, era utilizzato dal proprietario come deposito di oggetti nella sua disponibilità, tanto da essere parzialmente arredato e da far sì che egli vi si recasse quotidianamente, anche con finalità di controllo.
La Corte territoriale, dunque, ha sostanzialmente evocato i caratteri di configurabilità della nozione di domicilio e di privata dimora, utili a consentire di inquadrare la fattispecie nel reato previsto dall’art. 614 c.p. – anzitutto la volontà di escludere terzi dall’ingresso e dall’uso dell’immobile senza il consenso del titolare e l’essere destinato l’appartamento ad atti della vita privata – ed ha proficuamente richiamato anche la giurisprudenza specifica sedimentatasi in relazione al delitto di violazione di domicilio.
In proposito, anche coordinando tali arresti con le affermazioni delle Sezioni Unite, che, da ultimo, devono guidare l’interprete nella soluzione della questione, rimane fermo che, ai fini della configurazione del reato di violazione di domicilio, il concetto di privata dimora è più ampio di quello di casa d’abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di atti di vita privata (Sez. 5, n. 55040 del 20/10/2016, Rover, Rv. 268409; Sez. F, n. 41646 del 27/8/2013, Silveri, Rv. 257228; cfr. anche, per i locali saltuariamente visitati e sorvegliati da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto: Sez. 5, n. 48528 del 6/10/2011, B., Rv. 252116).
L’attualità dell’uso, cui è collegato il diritto alla tutela della libertà individuale, sotto il profilo della libertà domestica, non implica la sua continuità e, pertanto, non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto, la quale, qualora non sia accompagnata da indici rivelatori di un diverso divisamento, non comporta affatto, di per sé sola, la volontà di non tornare ad accedere all’abitazione nè quella di abbandonare il domicilio (Sez. 5, n. 21062 del 5/3/2004, Oliveri, Rv. 229190). In conclusione, integra il reato di violazione di domicilio la condotta di chi si introduca, contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, in un appartamento di proprietà altrui, adibito a deposito di oggetti personali e saltuariamente visitato nonché regolarmente chiuso e periodicamente sorvegliato da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto.
4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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