L’imputata è stata condannata per il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dalla legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), per aver arrostito carciofi in strada e averli venduti ai passanti.
250 i carciofi arrostititi dall’ambulante sulla pubblica via. Gli alimenti erano cucinati all’aperto, privi di copertura o protezione ed esposti agli agenti inquinanti provenienti dalle autovetture in transito; inoltre, i prodotti erano di origine ignota, in quanto non accompagnati da alcuna documentazione. I prodotti, dunque, erano idonei a cagionare un danno alla salute degli acquirenti.
Tale reato, spiegano i giudici, è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato di danno a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.
La giurisprudenza, sul punto, afferma che ai fini della configurabilità della contravvenzione, lo stato di cattiva conservazione riguarda quelle situazioni in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto. La fattispecie è configurabile tutte le volte in cui le modalità di conservazione delle sostanze alimentari contrastino con previsioni normative o anche soltanto con le regole dell’esperienza, così da pregiudicare l’interesse del consumatore a che l’alimento sia ben mantenuto prima di essere ulteriormente lavorato o utilizzato nella produzione, venduto, preparato o somministrato per il consumo.
Annalisa Gasparre, avvocato foro di Pavia
Cass. pen., sez. III, ud. 16 giugno 2021 (dep. 16 settembre 2021), n. 34395 – Presidente Rosi – Relatore Mengoni
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21/1/2021, il Tribunale di Napoli Nord dichiarava D.A., K.Y. e K.A. colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, tutti contestati a norma della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), e lì condannava alla pena di duemila Euro di ammenda ciascuno.
2. Propone ricorso per cassazione la D., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– erronea applicazione della norma contestata. L’imputata sarebbe stata condannata pur in assenza di disposizioni astrattamente violate, in tema di cottura di carciofi alla brace; d’altronde, questa attività, con contestuale vendita del prodotto appena arrostito, non integrerebbe il reato in rubrica, poiché non sarebbe regolata da alcuna disposizione in tema di conservazione del prodotto stesso;
– la sentenza, in ogni caso, dovrebbe essere annullata senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, alla luce dell’abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 27 del 2021.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta infondato.
4. Con riguardo alla prima censura, che lamenta la configurabilità stessa della fattispecie nel caso in esame, occorre ribadire – insieme al Giudice del merito che il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato di danno a tutela del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (tra le altre, Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990; Sez. 3, n. 35828 del 7/7/2004, n. Cicolella, Rv. 229392). Ancora, questa Corte ha più volte affermato che, ai fini della configurabilità della contravvenzione in oggetto, lo stato di cattiva conservazione riguarda quelle situazioni in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto (Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012, Maretto, Rv. 257130). E con l’ulteriore precisazione che la fattispecie in oggetto è configurabile tutte le volte in cui le modalità di conservazione delle sostanze alimentari contrastino con previsioni normative o anche soltanto con le regole dell’esperienza, sì da pregiudicare l’interesse del consumatore a che l’alimento sia ben mantenuto prima di essere ulteriormente lavorato o utilizzato nella produzione, venduto, preparato o somministrato per il consumo (per tutte, Sez. 3, n. 14549 del 5/3/2020, Di Lecce, Rv. 278775).
5. Tanto premesso in termini generali, la Corte rileva che di tali principi ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata; la quale, in particolare, ha evidenziato che: a) la ricorrente era stata colta nell’atto di vendere sulla pubblica via – in modo ambulante e senza alcuna autorizzazione – 250 carciofi arrostiti; b) questi, cucinati all’aperto, erano privi di copertura o protezione, ed erano quindi esposti agli agenti inquinanti provenienti dalle autovetture in transito; c) si trattava, peraltro, di prodotti di origine ignota, in quanto non accompagnati da alcuna documentazione. Dal che, con argomento del tutto adeguato e non censurabile, la piena consumazione del reato in rubrica, attesa l’idoneità di un prodotto così conservato a cagionare un danno alla salute degli acquirenti; a nulla rilevando, peraltro, che “non risulta violata alcuna specifica norma nella cottura dei carciofi alla brace”, o che la cottura e contestuale vendita non rientrerebbero nella nozione di conservazione del prodotto, come si legge nel ricorso, in quanto il contesto nel quale gli stessi carciofi erano posti in vendita – per come sopra pacificamente richiamato ed al di fuori di ogni autorizzazione – risulta di per sé idoneo ad integrare la contravvenzione riscontrata.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è infondato.
6. Non può esser accolta, di seguito, neppure la seconda censura, con la quale si chiede una pronuncia di proscioglimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
7. L’art. 5, in esame, infatti, è stato abrogato (con altri) dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, art. 18, in vigore dal 26/3/2021. Il giorno prima di quest’ultima data, tuttavia, è entrato in vigore il D.L. 22 marzo 2021, n. 42, convertito dalla L. 21 maggio 2021, n. 71, che ha modificato lo stesso art. 18, ampliando il novero delle disposizioni della L. n. 283 del 1962, sottratte all’abrogazione; tra queste, anche l’art. 5, qui contestato.
Ne consegue che l’abrogazione stessa della fattispecie in rubrica, pur approvata, non è mai entrata in vigore, perché superata da una previsione di segno contrario entrata in vigore prima dell’altra.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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