Il tribunale ha condannato gli imputati perché detenevano per la vendita 125 chilogrammi di carne di pollo e di tacchino per il kebab, in cattivo stato di conservazione, perché trasportata in cartoni all’interno di un furgone non refrigerato, con interruzione della catena del freddo.
I giudici hanno spiegato che la contravvenzione prevista dalla legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto la disposizione citata persegue un autonomo fine di benessere, consistente nell’assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura (cosiddetto ordine alimentare).
Nel caso in esame la quantità di carne sequestrata era indubbiamente destinata alla vendita e gli imputati non avevano offerto alcuna giustificazione plausibile agli operanti né avevano esibito alcuna documentazione attestante una diversa destinazione della merce.
Annalisa Gasparre, avvocato foro di Pavia
Cass. pen., sez. III, ud. 25 gennaio 2021 (dep. 4 ottobre 2021), n. 35966
Presidente Aceto – Relatore Macrì
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 27 giugno 2019 il Tribunale di Trani ha condannato A.Y. e F.A. alle pene di legge per il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5 perché detenevano per la vendita kg 125 di carne di pollo e di tacchino per kebab, in cattivo stato di conservazione.
2. Gli imputati presentano due motivi di ricorso. Con il primo deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla detenzione finalizzata alla vendita della merce in sequestro. Il Giudice aveva ritenuto provata la contravvenzione sulla base del quantitativo di carne in sequestro e dell’assenza di giustificazioni fornite agli organi della polizia giudiziaria al momento del controllo stradale. Ritengono la decisione congetturale. Tutti i testi escussi in dibattimento avevano categoricamente escluso la finalità di vendita, in ragione del contesto, del luogo e delle modalità con cui erano avvenuti il controllo ed il sequestro. Evidenziano, in particolare, che il sequestro era stato operato all’esito di un normale servizio di controllo svolto su una strada provinciale e non presso un’attività e/o rivendita commerciale di somministrazione di alimenti ovvero presso un deposito o magazzino; la merce si trovava a bordo di un furgone che non era di loro proprietà; non era noto quale attività lavorativa svolgessero e quindi se si occupassero della presunta attività commerciale di vendita e/o di somministrazione di carne; la carne non era stata sequestrata all’interno e/o presso un esercizio commerciale o presso magazzini e/o depositi di altrettante presunte attività commerciali. In ragione delle testimonianze assunte, la rilevante quantità di merce sequestrata poteva al limite rappresentare il punto di partenza dal quale muovere e non, come erroneamente e illogicamente sostenuto dal primo Giudice, la prova del fatto di destinazione alla vendita. Con il secondo denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. Il Giudice aveva ignorato la richiesta di assoluzione, nonostante vi fossero tutti i requisiti: la condizione soggettiva, i limiti edittali di pena, le caratteristiche della condotta e l’assenza di conseguenze dannose e/o pericolose, l’assenza di abitualità nella condotta. Aggiungono che era stata applicata solo la pena pecuniaria dell’ammenda, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena. Precisano che la richiesta risultava formalizzata a verbale. Richiamano i precedenti giurisprudenziali favorevoli all’applicazione della causa di non punibilità in caso di violazione dell’art. 5 Legge alimenti.
Considerato in diritto
3. I ricorsi sono infondati. Il primo motivo attiene all’accertamento di responsabilità. È emerso dall’istruttoria dibattimentale che gli imputati detenevano per la vendita 125 chili di carne di pollo e tacchino per kebab, in cattivo stato di conservazione, perché trasportata in cartoni all’interno di un furgone non refrigerato, con interruzione della catena del freddo. È consolidato in giurisprudenza l’orientamento espresso da Cass., Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. 2002, Butti, Rv. 220717, secondo cui la contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto la disposizione citata non mira a prevenire – con la repressione di condotte, come la degradazione, la contaminazione o l’alterazione del prodotto in sé, la cui pericolosità è presunta “iuris et de iure” – mutazioni che nelle altre parti del citato art. 5 sono prese in considerazione come evento dannoso, ma persegue un autonomo fine di benessere, consistente nell’assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura (cosiddetto ordine alimentare). Gli imputati hanno estrapolato dal verbale dell’esame dibattimentale alcune frasi del Giudice relative a commenti delle dichiarazioni testimoniali a tenore delle quali non poteva parlarsi di detenzione per la vendita. Ciò nondimeno, la sentenza è chiara nel senso che la quantità di carne sequestrata non lasciava margini di dubbio sulla destinazione alla vendita e, d’altra parte, gli imputati non avevano offerto alcuna giustificazione plausibile agli operanti nè avevano esibito alcuna documentazione attestante una diversa destinazione della merce. La motivazione è, pertanto, immune da censure.
Quanto alla possibilità di applicare l’art. 131-bis c.p., si desume dal complesso della motivazione che il fatto non è stato considerato dal Giudice come di lieve entità, stante il rilevante quantitativo di carne sequestrato e considerata la pena irrogata dell’ammenda di Euro 2.000, già diminuita per le attenuanti generiche, che non è stata calcolata nella misura del minimo edittale (si veda sulla motivazione implicita, tra le più recenti, Cass., Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635-02). Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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