Un responsabile di un supermercato è stato condannato per aver distribuito e posto in vendita per il consumo umano diversi chilogrammi di generi alimentari in cattivo stato di conservazione.
L’accertamento presso il supermercato veniva effettuato dai Carabinieri e dal dirigente del servizio veterinario della Asl. Ivi si accertava la presenza di latticini esposti un banco non frigorifero e posizionati sotto un faro da illuminazione della potenza di 1.000 Watt, quindi a temperatura particolarmente elevata e non conforme a quella prescritta, da 0 a 4 gradi; le mozzarelle erano posizionate in buste aperte ed immerse in vaschette contenenti siero sfuso.
La Corte di cassazione ha ricordato che in tale materia, l’accertamento dello stato di conservazione di alimenti detenuti per la vendita, non richiede né un’analisi di laboratorio né una perizia, in quanto il giudice di merito può ugualmente pervenire a tale risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione.
I giudici hanno ritenuto responsabile l’imputato perché destinatario di un obbligo di controllo delle condizioni igienico-sanitarie delle strutture di vendita. Secondo i giudici, infatti, non può escludersi, in capo al legale rappresentante di una società proprietaria di più punti vendita, l’esistenza di un obbligo di fornire strutture e mezzi adeguati per la corretta gestione degli esercizi commerciali e di un generale dovere di organizzazione e controllo degli stessi, salva la possibilità di una delega di funzioni rispondente ai requisiti oggettivi e soggettivi individuati dalla giurisprudenza o la suddivisione dell’azienda in distinti ed automi settori, rami o servizi assegnati a soggetti qualificati, idonei e dotati di sufficiente autonomia decisionale ed è evidente che allo stesso devono imputarsi le conseguenze di condotte, quali la corretta conservazione degli alimenti offerti in vendita, che non esulano dalla sua sfera di attribuzioni.
Annalisa Gasparre, avvocato del foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 giugno – 12 settembre 2013, n. 37380 – Presidente Teresi – Relatore Ramacci
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Torre Annunziata – Sezione Distaccata di Torre del Greco, con sentenza del 22.2.2012 ha riconosciuto D.P.V. responsabile del reato di cui all’art. 5, lett. b) legge 283/1962, condannandolo alla pena dell’ammenda, perché quale responsabile del supermercato “XXXX” distribuiva e poneva in vendita per il consumo umano diretto diversi chilogrammi di generi alimentari in cattivo stato di conservazione ((OMISSIS) ).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso censura le ordinanze con le quali, all’udienza dell’1.2.2012, venivano respinte le eccezioni di nullità sollevate dalla difesa e concernenti la mancata indicazione del luogo di comparizione, recando la citazione la sola indicazione del Tribunale di Torre Annunziata in composizione monocratica, Sezione Distaccata di Torre del Greco e la imprecisa enunciazione del fatto contestato, non specificando l’imputazione in cosa consistesse il cattivo stato di conservazione.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, osservando che il giudice del merito si sarebbe limitato a considerare le dichiarazioni dei testimoni escussi, senza alcuna valutazione critica delle stesse, pur in presenza di affermazioni di segno contrario del teste indotto dalla difesa e dell’elaborato dallo stesso prodotto ed in assenza di verifiche sulla effettiva situazione di fatto.
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione con riferimento alla riconosciuta responsabilità per i fatti contestati quale legale rappresentante della società proprietaria dell’esercizio commerciale nonostante la struttura complessa dell’organizzazione, che prevedeva, per ogni punto vendita, un responsabile ed altri soggetti responsabili dei singoli reparti.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è infondato.
Occorre rilevare, quanto al primo motivo di ricorso, che le censure in esso contenute risultano destituite di fondamento.
In particolare, l’indicazione del luogo di comparizione risulta sufficientemente specificato attraverso l’indicazione dell’ufficio giudiziario “Tribunale di Torre Annunziata in composizione monocratica, Sezione Distaccata di Torre del Greco”, come riconosciuto dallo stesso ricorrente e non erano certamente necessarie ulteriori indicazioni, trattandosi di ufficio ubicato in un comune di non rilevanti dimensioni ed in unica sede.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di escludere la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancata od insufficiente indicazione del luogo della comparizione che sia soltanto privo di talune precisazioni non essenziali all’individuazione della sede del dibattimento, sempre possibile usando la normale diligenza (Sez. 2 n. 43903, 17 novembre 2009; Sez. 3 n. 23615, 23 giugno 2005; Sez. 1 n. 4488, 5 febbraio 2002).
Parimenti adeguata risulta l’imputazione formulata, contenendo la puntuale descrizione delle disposizioni che si assumono violate, l’indicazione dell’esatta ubicazione dell’esercizio commerciale ed una sommaria descrizione della condotta, oltre alla data di accertamento del fatto.
L’assenza della specifica elencazione degli alimenti mal conservati e delle condizioni della conservazione, che la sentenza impugnata precisa essere comunque contenuta in una analitica descrizione riportata nel verbale di sequestro, evidentemente noto all’imputato, non hanno impedito alla difesa di esplicarsi pienamente in ordine agli aspetti fondamentali del fatto-reato così descritto nel capo di imputazione, come si evince dalla circostanza, emergente dal ricorso e dalla sentenza impugnata, che la difesa ha avuto l’opportunità di introdurre un proprio teste il quale, oltre a rendere dichiarazioni in sede di istruzione dibattimentale, ha anche potuto predisporre un elaborato tecnico prodotto in udienza.
6. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
Risulta dalla sentenza impugnata che l’accertamento presso l’esercizio commerciale venne effettuato da personale dell’Arma dei carabinieri e dal dirigente del servizio veterinario della ASL territorialmente competente.
Il controllo, come riferito dai testi e riportato in sentenza, aveva consentito di accertare la presenza di latticini esposti su un banco non frigorifero e posizionati sotto un faro da illuminazione della potenza di 1.000 Watt, quindi a temperatura particolarmente elevata e non conforme a quella prescritta, da 0 a 4 gradi; le mozzarelle erano posizionate in buste aperte ed immerse in vaschette contenenti siero sfuso.
Tali dati fattuali sono stati valorizzati dal giudice del merito, il quale ha preso doverosamente in esame anche la deposizione del teste indotto dalle difesa ed il contenuto del suo elaborato, pervenendo motivatamente alla conclusione che lo stato di fatto emergente dal controllo era certamente diverso dalla situazione descritta nell’elaborato medesimo.
A fronte di ciò, il ricorrente lamenta la mancata effettuazione di accertamenti tecnici, lamentando che il giudice di merito avrebbe fatto riferimento esclusivo alla natura di reato di pericolo della violazione contestata ed affermando che l’anticipazione della tutela rispetto al verificarsi del danno in concreto presuppone, comunque, un rigoroso accertamento delle situazioni di fatto che danno causa all’esistenza del pericolo, così riproducendo il testo di una massima relativa ad una pronuncia di questa Corte (Sez. 3 n. 439, 11 gennaio 2012).
L’assunto è certamente condivisibile ma, nel caso in esame, superato dal fatto che il giudice del merito non ha fondato la propria decisione esclusivamente sulla natura del reato contestato, avendo considerato, come si è già detto, gli esiti dell’accertamento effettuato presso l’esercizio commerciale, da soli sufficienti per l’affermazione di penale responsabilità.
Come si è già avuto modo di osservare, infatti, l’accertamento dello stato di conservazione di alimenti detenuti per la vendita, non richiede né un’analisi di laboratorio né una perizia, in quanto il giudice di merito può ugualmente pervenire a tale risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione (Sez. 3 n. 35234, 21 settembre 2007; Sez. 3 n. 14250, 21 aprile 2006; Sez. 6 n. 7521, 30 maggio 1990).
3. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene al terzo motivo di ricorso.
Nella sentenza impugnata, riportando le dichiarazioni del teste della difesa, viene dato atto della posizione apicale dell’imputato nell’ambito della società “MT s.r.l.”, proprietaria di più supermercati con marchio “XXXX” e della quale questi risulta essere amministratore delegato, nonché del fatto che all’esercizio oggetto di controllo sarebbero stati preposti un responsabile del supermercato e tre responsabili di reparto addetti al posizionamento dei singoli prodotti sotto la supervisione del responsabile del punto vendita.
La situazione così descritta, è stata tuttavia prospettata in maniera del tutto generica dal teste suddetto, le dichiarazioni del quale non risultano suffragate da un seppur minimo elemento di riscontro cosicché i riferimenti alle figure professionali indicate ed al ruolo da esse svolto nell’organizzazione aziendale, nonché l’organizzazione piramidale della stessa restano mere asserzioni, del tutto vaghe e prive di concretezza nonostante la possibilità di una agevole documentazione.
A fronte di ciò, correttamente il giudice del merito ha ritenuto la responsabilità dell’imputato in quanto comunque destinatario di un obbligo di controllo delle condizioni igienico sanitarie delle strutture di vendita ed in considerazione dell’assenza di una delega di funzioni.
Invero, non può certamente escludersi, in capo al legale rappresentante di una società proprietaria di più punti vendita, l’esistenza di un obbligo di fornire strutture e mezzi adeguati per la corretta gestione degli esercizi commerciali e di un generale dovere di organizzazione e controllo degli stessi, salva la possibilità di una delega di funzioni rispondente ai requisiti oggettivi e soggettivi individuati dalla giurisprudenza di questa Corte o la suddivisione dell’azienda in distinti ed automi settori, rami o servizi assegnati a soggetti qualificati, idonei e dotati di sufficiente autonomia decisionale ed è evidente che allo stesso devono imputarsi le conseguenze di condotte, quali la corretta conservazione degli alimenti offerti in vendita, che non esulano dalla sua sfera di attribuzioni.
In effetti, come ricordato dalla difesa del ricorrente nel corso della discussione, anche recentemente questa Corte ha avuto modo di affermare che la valutazione circa la responsabilità connessa al rispetto dei requisiti igienico sanitari dei prodotti alimentari deve effettuarsi, qualora si tratti di enti articolati in più unità territoriali autonome, con riferimento alla singola struttura aziendale e, al suo interno, al preposto ad essa o ad un singolo suo settore, senza necessità della prova specifica di una delega ad hoc conferita a detto preposto da parte del legale rappresentante dell’ente (Sez. 3 n.28541, 17 luglio 2012. In senso conforme, con riferimento alla prevenzione degli infortuni sul lavoro Sez. 3 n. 2592, 25 gennaio 2007; in tema di alimenti: Sez. 3 n.19642, 28 aprile 2003; Sez. 3 n. 4304, 9 aprile 1998. V. anche Sez. 3 n. 11835, 13 marzo 2013).
Tuttavia, come si è già detto, nel caso in esame non risulta dimostrata l’effettiva autonomia del punto vendita e giustamente il giudice del merito ha ritenuto non sufficienti le dichiarazioni del teste indotto dalla difesa il quale, secondo il Tribunale, ha rappresentato una situazione evidentemente differente rispetto a quella apprezzata dai verbalizzanti all’atto del controllo, limitandosi ad affermazioni del tutto apodittiche riguardo agli essenziali elementi in precedenza evidenziati.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
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