Disposta la misura cautelare dell’obbligo di dimora per un indagato accusato di avere indotto la vittima, con artifici e raggiri, a credere di aver prodotto un danno alla autovettura del ricorrente, così facendosi consegnare la somma di 1.100 Euro (c.d. “truffa dello specchietto”); con l’aggravante di aver approfittato dell’età della persona offesa (nata nel 1940) e di averle cagionato un danno di rilevante gravità.
La Corte di cassazione precisa che ai fini della configurabilità dell’aggravante della minorata difesa (art. 61 c.p., n. 5), l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, dovendo essere valutata la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità del soggetto passivo dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio. Altresì si è affermato che, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato è rilevante nel senso che impone al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità.
Nel caso in esame, il Tribunale, attraverso una analisi della specifica dinamica fattuale ha ritenuto che il ricorrente avesse approfittato dell’età della persona offesa, ponendo in essere una condotta (al limite della estorsione in ordine alla aggressività del suo comportamento) che aveva indotto la vittima ad un comportamento denotante particolare timore e poca lucidità, come dalla stessa riferito in sede di indagini. La persona offesa non soltanto aveva elargito al ricorrente una prima somma di danaro, ma anche una seconda tornando a casa ed una terza attraverso un prelievo al bancomat, avvenute, sempre venendo seguita dall’indagato, il quale, anche quindici giorni dopo il fatto, aveva tentato di ottenere ulteriore denaro “avendo compreso che la vittima era persona debole e manipolabile”.
La sussistenza dell’aggravante della minorata difesa rende il reato di truffa procedibile di ufficio sicché è irrilevante l’eventuale assenza di querela.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia (annalisa.gasparre@gmail.com)
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 febbraio – 2 aprile 2021, n. 12801 – Presidente Cervadoro – Relatore Sgadari
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Torino, in sede di riesame delle misure cautelari personali, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale emessa il 19 giugno del 2020, che aveva applicato al ricorrente la misura dell’obbligo di dimora (inizialmente fissato in …… e poi in ……….), in relazione al reato di cui all’art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 2-bis e art. 61 c.p., n. 7 per avere indotto la vittima, B.M. , con artifici e raggiri, a credere di aver prodotto un danno alla autovettura del ricorrente, così facendosi consegnare la somma di 1.100 Euro (cosiddetta “truffa dello specchietto”); con l’aggravante di aver approfittato dell’età della persona offesa (nata nel 1940) e di averle cagionato un danno di rilevante gravità.
2. Ricorre per cassazione F.A. , deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle aggravanti contestate, elidendo le quali il reato risulterebbe improcedibile a seguito della intervenuta remissione della querela.
Il ricorrente, sottolineando la genericità del capo di imputazione, sostiene essere insussistenti le aggravanti della minorata difesa della vittima e del rilevante danno patrimoniale da costei subito, posto che “alcuna investigazione era stata eseguita circa le capacità psico-fisiche della persona offesa e circa la sua capienza economica”.
Il mero dato dell’età della vittima non servirebbe a ritenere la sussistenza della prima aggravante, mentre la motivazione del Tribunale sarebbe viziata per il fatto di essersi riferita ad un “danno non trascurabile”, concetto diverso dal danno di “rilevante gravità”.
Il Tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa al difensore dell’indagato e che l’avevano spinta a rimettere la querela nei confronti di quest’ultimo accettando a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 1950,00 oltre che a negare, per quanto a lei riferibile, di aver subito un rilevante danno e la sussistenza di elementi idonei a ritenere l’aggravante della minorata difesa.
Tali dichiarazioni erano state legittimamente ottenute in sede di indagini difensive e la vittima le avrebbe rese alla presenza del suo difensore di fiducia;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle valutazioni del Tribunale circa la prognosi di non concedibilità della sospensione condizionale della pena, che farebbe venir meno la misura cautelare, avendo peraltro l’ordinanza valorizzato i precedenti di polizia del ricorrente.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. In punto di diritto, il Collegio aderisce alla prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, dovendo essere valutata la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità del soggetto passivo dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (da ultimo, Sez. 2, n. 47186 del 22/10/2019, Bona, Rv. 277780).
In altra decisione di legittimità, particolarmente adattabile al caso in esame, si è affermato che, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla L. n. 94 del 2009, è rilevante nel senso che impone al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità (Sez. 2, n. 35997 del 23/09/2010, Licciardello).
Nel caso in esame, il Tribunale, attraverso una analisi della specifica dinamica fattuale, non più rivedibile in questa sede, ha ritenuto che il ricorrente avesse approfittato dell’età della persona offesa, ponendo in essere una condotta al limite della estorsione in ordine alla aggressività del suo comportamento, che aveva indotto la vittima ad un comportamento denotante particolare timore e poca lucidità, come dalla medesima riferito in sede di indagini.
Si consideri che la persona offesa non soltanto aveva elargito al ricorrente una prima somma di danaro, ma anche una seconda tornando a casa ed una terza attraverso un prelievo al bancomat, avvenute, queste ultime dazioni, sempre venendo seguito dall’indagato, il quale, anche quindici giorni dopo il fatto, aveva tentato di ottenere ulteriore denaro “avendo compreso che la vittima era persona debole e manipolabile”.
La statuizione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui si discute, è stata, pertanto, individualizzata rispetto al caso concreto.
E ciò, anche in relazione alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla stessa vittima al difensore in ordine al suo stile di vita allorquando aveva deciso di accettare il risarcimento del danno rimettendo la querela.
Tali dichiarazioni il Tribunale non ha ritenuto idonee a supportare un diverso convincimento, alla luce della dinamica del fatto che il ricorrente solo in parte ha messo in evidenza, evitando di sottolineare quel passaggio cruciale della sua condotta successivo al fatto (la richiesta di danaro 15 giorni dopo) dimostrativo della sua consapevolezza che la persona offesa, oltre che anziana, fosse soggetto debole e remissivo, del quale si poteva approfittare, così come ritenuto dal Tribunale senza incorrere in vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede.
2. La sussistenza dell’aggravante della minorata difesa rende il reato di truffa procedibile di ufficio ex art. 640 c.p., comma 3, il che rende superfluo, a questo fine, esaminare il motivo di ricorso relativo alla sussistenza dell’altra aggravante, avendo il Tribunale espresso il proprio convincimento in termini di gravità del fatto anche a prescindere dalla sussistenza di tale aggravante, in ragione di quanto prima precisato.
3. Quanto alle esigenze cautelari, il giudizio in ordine alla sussistenza del pericolo di reiterazione nel reato è stato espresso con riferimento alla esistenza di “numerosissime e specifiche pendenze” oltre che all’assenza di attività lavorativa e di fissa dimora, elementi tali da superare il dato formale dell’incensuratezza del ricorrente.
La statuizione è individualizzata e le diverse argomentazioni difensive attengono al merito del giudizio.
Quanto alla possibilità di tener conto delle pendenze giudiziarie, si ricordi il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui, ai fini del giudizio sulla personalità, richiesto in materia cautelare dall’art. 274 c.p.p., lett. c), va tenuto conto anche delle eventuali pendenze penali, le quali, pur se non qualificabili come “precedenti penali” in senso stretto, sono tuttavia sempre riferibili a “comportamenti o atti concreti” che si assumono posti in essere dall’imputato o indagato e sono pertanto valutabili sotto tale profilo, sulla base del testuale tenore della suindicata disposizione normativa, senza che ne derivi contrasto alcuno con il principio di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., comma 2, atteso che tale principio vieta di assumere la “colpevolezza” a base di qualsivoglia provvedimento, fino a quando essa non sia stata definitivamente accertata, ma non vieta affatto di trarre elementi di valutazione sulla personalità dell’accusato dal fatto obiettivo della pendenza, a suo carico, di altri procedimenti penali (Sez. 6, n. 45934 del 22/10/2015, Perricciolo, Rv. 265069. Precedenti conformi N. 4878 del 1997 Rv. 208342, N. 1309 del 2000 Rv. 215880, N. 33873 del 2008 Rv. 240761, N. 7045 del 2013 Rv. 258786).
Infine, il riferimento alla possibilità di non concedere la sospensione condizionale della pena è stato dal Tribunale inserito solo ad abundantiam, non entrando comunque tale valutazione in gioco ai fini della valutazione su una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere o dagli arresti domiciliari, come nel caso in esame, nel quale di discute di un obbligo di dimora.
In proposito, si richiama il principio secondo cui, il divieto di applicazione di una misura cautelare, allorché sia ipotizzabile la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena nell’eventualità di condanna nel giudizio di merito, è riferibile soltanto allo stato detenzione carceraria o domiciliare e non alle altre limitazioni della libertà personale (6, n. 18683 del 09/01/2008, Pepe Rv. 239931).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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