Un uomo veniva fermato per una violazione del codice della strada. Infastidito, poneva in essere il reato di resistenza a pubblico ufficiale: tentata di riprendere i documenti nel corso della redazione del verbale di contravvenzione al codice della strada, pronunciava frasi ingiuriose e minacciose in direzione degli operanti, il tutto al fine di impedire la compilazione dell’atto dell’ufficio, aggressività tale da imporre l’ammanettamento.
Si è ritenuto integrato quindi il reato di resistenza a pubblico ufficiale accertata l’intenzionale violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale durante il compimento dell’atto d’ufficio, allo scopo di impedirlo.
A parere dell’imputato si trattava di una giusta reazione davanti a un atto arbitrario. Ma la Corte di cassazione obietta che tale esimente presuppone un’attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario, esimente non integrata dal mero errore sulla configurazione della contravvenzione verbalizzata piuttosto di un’altra.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 dicembre 2020 – 2 aprile 2021, n. 12803 – Presidente Costanzo – Relatore Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del 28 giugno 2018 del Tribunale di Forlì, ha riconosciuto a F.F. le circostanze attenuanti generiche e, per l’effetto, ha rideterminato in mesi quattro di reclusione la pena al medesimo inflitta in primo grado in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, pena detentiva convertita nella corrispondente somma di 30.000,00 Euro di multa con il beneficio della non menzione, confermando nel resto la decisione appellata.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, F.F. chiede che il provvedimento in epigrafe sia annullato per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 337 c.p., per avere la Corte d’appello ritenuto erroneamente integrato il reato. La difesa evidenzia come, nella specie, faccia difetto una condotta violenta, non potendo questa ravvisarsi nel tentativo dell’imputato di riprendere i documenti nel corso della redazione del verbale di contravvenzione al Codice della Strada, trattandosi tutt’al più di atto di mera disubbidienza penalmente irrilevante; come le frasi pronunciate dall’imputato, avuto riguardo alle circostanze concrete, non possano ritenersi idonee ad integrare una minaccia, risultando piuttosto ravvisabile il reato di ingiuria; come, in ogni caso, il comportamento violento o minaccioso del F. non fosse teso di impedire l’atto del funzionario pubblico, costituendo semmai espressione della frustrazione e del cocente senso di impotenza rispetto all’attività della pubblica autorità stimata ingiusta.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 393-bis c.p., per avere il Collegio distrettuale errato nel disconoscere la sussistenza dei presupposti dell’esimente dell’atto arbitrario. A sostegno del motivo, la difesa sottolinea come la reazione scomposta del ricorrente fosse giustificata dall’erronea – e ben più grave – infrazione contestatagli dagli operanti, così come comprovato dalle sentenze rese dal Giudice di Pace di Forlì, a seguito dei ricorsi proposti dal F., là dove hanno cristallizzato che la manovra non si era svolta in ambito autostradale e non si era consumata secondo le modalità descritte dagli agenti. Aggiunge che gli operanti ammanettavano il ricorrente in presenza di numerose persone che festeggiavano un evento sportivo di interesse locale, contesto che aveva determinato nell’imputato la convinzione, inizialmente, circa la tolleranza da parte delle Forze dell’ordine rispetto a possibili infrazioni del Codice della Strada, successivamente, di essere vittima di un atto arbitrario.
Infine, il ricorrente nota che sussistevano, in ogni caso, i presupposti per la causa di non punibilità putativa.
2.3. Violazione di legge in relazione alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 per avere i Giudici di merito disposto la conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria senza che l’imputato avesse avanzato alcuna richiesta in tal senso nonché tralasciando di chiarire se e come si sia tenuto conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare.
2.4. Violazione di legge in relazione all’art. 597 c.p.p., comma 3, e correlativo vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello disposto ingiustificatamente la revoca della sospensione condizionale della pena.
Considerato in diritto
1. Sono inammissibili i primi due motivi con i quali il ricorrente ha censurato la conferma del giudizio di penale responsabilità in ordine al reato di resistenza a pubblico ufficiale e l’omessa applicazione della scriminante dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale, anche putativa.
1.1. Per un verso, il ricorrente ripropone i medesimi rilievi già dedotti in appello e non si confronta con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale, il che costituisce causa d’inammissibilità del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
1.2. D’altra parte, il Collegio di merito ha bene argomentato, con considerazioni aderenti alle emergenze dell’incartamento processuale, lineari e conformi a logica – pertanto incensurabili nella sede di legittimità – le ragioni per le quali abbia ritenuto sussistenti i presupposti del reato contestato ed inapplicabile l’invocata causa di giustificazione.
Ed invero, la Corte territoriale ha attentamente ricostruito i fatti sub iudice evidenziando che F. , dopo essere stato fermato per avere effettuato un’inversione di carreggiata e proceduto in contromano, fin dal primo momento aveva minacciato gli operanti “di denunciarci se non l’avessimo lasciato andare” e proseguito poi con le frasi intimidatorie “ti rovino, ti faccio arrestare” quando gli assistenti di Polizia avevano iniziato a redigere il verbale di infrazione al Codice della Strada; che, successivamente, il ricorrente aveva tentato di strappare i documenti di mano da uno degli assistenti e si era messo fisicamente in mezzo per impedire la redazione del verbale di infrazione al Codice della Strada, condotta aggressiva ed intimidatoria, chiaramente finalizzata ad impedire la compilazione dell’atto dell’ufficio; che il comportamento dell’imputato era risultato così aggressivo da imporne, nella fase finale, l’ammanettamento, fra l’altro, in un contesto di pericolosità, determinato dalla presenza sul posto di un irrequieto gruppo di tifosi a piedi che, presi dall’euforia, stavano loro volta occupando la sede stradale, con possibili pericoli per l’incolumità personale (v. pagine 3 -5 dei motivi della decisione impugnata).
1.3. Sulla scorta di tale ricostruzione storico-fattuale degli occorsi, ineccepibile si appalesa il riverbero in diritto, là dove i decidenti di merito hanno ravvisato il delitto di cui all’art. 337 c.p., che risulta integrato in tutti i casi in cui l’agente usi intenzionalmente violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale durante il compimento dell’atto d’ufficio, allo scopo di impedirlo.
2. Inappuntabilmente argomentata è anche la ritenuta insussistenza in fatto dei presupposti dell’atto arbitrario (v. pagina 5 della sentenza impugnata).
2.1. Detta esimente presuppone, difatti, un’attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi e altro, Rv. 266535), che neanche la difesa delinea essersi realizzata nella specie.
2.2. D’altra parte, il ricorrente non ha allegato dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato, a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale ai sensi all’art. 59 c.p., comma 4.
Correttamente il Collegio distrettuale ha stimato irrilevante il fatto che il Giudice di Pace abbia diversamente rubricato la violazione del Codice della Strada (contromano in un tratto di strada normale anziché in autostrada), atteso che, a prescindere dalla qualificazione dell’infrazione, risulta pacificamente accertato che F. avesse eseguito una manovra vietata (là dove procedeva in contromano), di tal che fanno difetto in radice i presupposti per ritenere che egli potesse ragionevolmente ritenere arbitrario il rilievo degli operanti.
2.3. A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell’iter argomentativo sviluppato dal Giudice del gravame in sentenza, il ricorso si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
3. Coglie, di contro, nel segno il terzo motivo, con il quale il ricorrente si duole della disposta conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria.
3.1. Come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte Suprema, la Corte d’appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597 c.p.p., comma 5, che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della L. n. 689 del 1981. (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 26912501).
3.2. All’emenda del vizio può, nondimeno, procedere direttamente questa Corte ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), atteso che la correzione non implica accertamenti di fatto incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità.
La sentenza deve, pertanto, essere annullata senza rinvio in relazione alla disposta conversione della pena ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 ripristinando l’originaria pena di mesi quattro di reclusione.
3.3. Il ripristino della pena detentiva non può non comportare anche il ripristino della sospensione condizionale della pena già concessa in primo grado e, a ben vedere, non espressamente revocata dalla Corte d’appello ed anzi implicitamente confermata allorché ha disposto la “conferma nel resto” della decisione appellata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena detentiva, che ripristina, con non menzione ex art. 175 c.p. e sospensione condizionale della pena. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto ed irrevocabile l’accertamento della responsabilità dell’imputato.
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