Alcuni soggetti, con la complicità del fratello della vittima (fratello peraltro dedito al consumo di alcolici e affetto da ritardo mentale), si erano introdotti all’interno di una casa abitata dai fratelli, sorprendendo la vittima nel sonno.
Sono stati accusati del reato di violazione di domicilio, avendo i giudici ritenuto irrilevante il consenso prestato dal fratello della vittima, perché non in grado di autodeterminarsi. Inoltre, è stato valorizzato il fatto che, in caso di convivenza, il diritto di escludere estranei spetta a ciascuno dei coabitanti. In altri termini, “il diritto all’inviolabilità del domicilio spetta a ciascuno dei conviventi e dunque il dissenso, espresso o tacito e, comunque, presunto in ipotesi di finalità illecita, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio”.
Deve poi distinguersi la convivenza dalla coabitazione.
Mentre la convivenza va intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale, la coabitazione è “una mera situazione di fatto, consistente nella condivisione del medesimo alloggio, ispirata da ragioni di opportunità e convenienza, in cui vengano a definirsi, pur nel domicilio comune, ambiti personali ed inviolabili di godimento”. Si tratta di una relazione limitata alla comunione nell’uso abitativo.
Se ne ricava che l’eventuale consenso all’accesso prestato da uno solo dei coabitanti “non può che limitarsi agli spazi comuni ed a quelli di esclusiva pertinenza del medesimo, mentre riguardo alle parti in godimento esclusivo spetta solo all’avente diritto la facoltà di ammettervi la presenza di terzi”.
Può dunque affermarsi che “in tema di violazione di domicilio, debbono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione: “mentre per le prima – caratterizzate da legami affettivi stabili e duraturi, in virtù dei quali siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale – il consenso di uno dei conviventi esprime il consenso tacito degli altri, nelle seconde – connotate da una mera situazione di fatto – viene a definirsi per ciascuno dei coabitanti uno spazio esclusivo, che richiede, al fine di consentirne l’accesso a terzi, il consenso dell’avente diritto”.
In altri termini, “quando il domicilio è comune a più persone, alla inviolabilità del medesimo hanno diritto tutti i coabitanti e che il dissenso, espresso o tacito, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio. Il consenso può essere anche presunto, ma la presunzione è tanto più rilevante quanto più il rapporto di coabitazione si fondi su comunione di intenti, mentre viene meno quando, invece, il rapporto di coabitazione sia fondato su mere ragioni di opportunità e convenienza”.
Nel caso concreto, non risultava che tra i fratelli sussistesse una relazione di qualificata convivenza, tanto da potersi ritenere che il consenso prestato da uno consentisse all’indagato l’accesso nella stanza da letto in uso esclusivo alla vittima. Il tribunale ha giustamente applicato il principio secondo cui “integra il reato di violazione di domicilio la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, deve ritenersi implicita la volontà contraria del titolare dello ius excludendi, non assumendo rilievo, invece, la mancanza di clandestinità nell’agente o l’assenza di violenza sulle cose. La finalità illecita si rinviene nel profilo dello scherno e della violenza morale (atti lesivi della dignità e del decoro, considerata anche la divulgazione dei video ritraenti l’incursione).
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 settembre – 9 novembre 2020, n. 31276 – Presidente Pezzullo – Relatore Tudino
Ritenuto in fatto
1.Con l’ordinanza impugnata del 23 dicembre 2019, il Tribunale di Catanzaro ha, in riforma dell’ordinanza del Gip di Castrovillari, annullato la misura degli arresti domiciliari applicata a S.A.E. per il reato di cui all’art. 613-bis c.p. contestato al capo 1) e sostituito la medesima con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa, M.F., in relazione al reato di cui all’art. 614, comma 4, c.p. sub 2).
Ritenuto insussistente il delitto di tortura, il Tribunale ha, invece, ravvisato gli elementi costitutivi del reato di violazione di domicilio, in considerazione della finalità perseguita dagli agenti e dell’inidoneità dell’ammissione nella comune abitazione di uno dei conviventi, peraltro dedito al consumo di alcolici ed affetto da ritardo mentale, ad escludere la materialità del fatto, ravvisando il concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato, tenuto conto della gravità dei fatti, della leggerezza mostrata in sede di interrogatorio e della diffusione del video relativo all’incursione.
2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, con atto a firma del difensore di fiducia, Avv. ………, affidando le proprie censure ad un unico motivo, con il quale deduce vizio della motivazione in riferimento all’aggravante di cui all’art. 614 c.p., comma 4, ed omessa valutazione di elementi decisivi introdotti con il riesame.
2.1. Con un primo punto, deduce il ricorrente la mancata verifica dell’esistenza della condizione di procedibilità in riferimento al reato di cui all’art. 614 c.p., in conseguenza del parziale annullamento pronunciato dal riesame e della necessità della querela, in ipotesi di esclusione dell’aggravante ritenuta.
2.2. Con un secondo argomento, censura il ricorrente tanto la ritenuta introduzione nel domicilio invito domino, che l’impiego di violenza successiva, risultando sul punto ingiustificatamente svalutata la perizia allegata al riesame, dalla quale risulta che lo S. ha impedito l’uso di violenza da parte dei coindagati in danno di M.F., trattandosi di uno scherzo degenerato e non potendo ritenersi configurata la ritenuta aggravante solo alla stregua di siffatta finalità.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1.Alla disamina del ricorso va premesso come il ricorrente non abbia dedotto la insussistenza della condizione di procedibilità, ma abbia censurato l’omessa verifica ex officio dell’esistenza della querela, in conseguenza della proposizione della relativa questione con il riesame.
1.1. Fermo restando l’obbligo del giudice di verificare, in ogni stato e grado del procedimento, che la condizione di procedibilità sussista effettivamente (per tutte Sez. 3, n. 16470 del 28/02/2020, P., Rv. 279006; Sez. 5, n. 14629 del 16/01/2018, Cinquia, Rv. 272849), reputa il Collegio come la questione s’appalesi, nel caso in esame, irrilevante, avendo il Tribunale della libertà proceduto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti ex art. 614 c.p., comma 4.
In riferimento all’ammissione nel domicilio comune da parte del fratello convivente della persona offesa, il Tribunale ha, da un lato, ritenuto irrilevante il consenso, in conseguenza della condizione di assuntore di alcolici di M.D.M. , affetto da ritardo mentale con disturbi comportamentali tali da comprometterne la consapevole autodeterminazione; dall’altro, ha correttamente rilevato come, in caso di convivenza, lo ius excludendi spetti a ciascuno dei coabitanti e che le finalità illecite perseguite dagli agenti avrebbero senz’altro superato, in senso contrario, la presunzione di consenso della vittima, M.F. , all’accesso nella propria stanza da letto.
Trattasi di apprezzamento che non evidenzia i vizi denunciati.
1.2. In tema di coabitazione, invero, il diritto all’inviolabilità del domicilio spetta a ciascuno dei conviventi e dunque il dissenso, espresso o tacito e, comunque, presunto in ipotesi di finalità illecita, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio (Sez. 5, n. 8574 del 19/04/1982, Pace, Rv. 155332).
A tanto aggiungasi come la latitudine del consenso prestato solo da uno dei conviventi si scandisca diversamente a seconda del tipo di relazione abitativa, dovendo distinguersi la convivenza dalla coabitazione.
Mentre la convivenza va intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (V. Cassazione civile Sez. 3, n. 9178 del 13/04/2018, Mossini contro S., Rv. 648590 che ha specificato come la coabitazione costituisca mero indizio della convivenza), la coabitazione è, invece, una mera situazione di fatto, consistente nella condivisione del medesimo alloggio, ispirata da ragioni di opportunità e convenienza, in cui vengano a definirsi, pur nel domicilio comune, ambiti personali ed inviolabili di godimento. Trattasi di una relazione limitata alla comunione nell’uso abitativo, che enuclea – per le parti non destinate alla comune fruizione – tante unità quanti sono i soggetti coabitanti, tutte oggetto della tutela declinata dall’art. 614 c.p..
Nella delineata prospettiva, il consenso all’eccesso prestato da uno solo dei coabitanti non può che limitarsi agli spazi comuni ed a quelli di esclusiva pertinenza del medesimo, mentre riguardo alle parti in godimento esclusivo spetta solo all’avente diritto la facoltà di ammettervi la presenza di terzi.
Ne viene che la presunzione di consenso non può configurarsi nei casi in cui venga a definirsi un ubi consistam individuale ed esclusivo.
Deve, pertanto, affermarsi che, in tema di violazione di domicilio, debbono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione: mentre per le prima – caratterizzate da legami affettivi stabili e duraturi, in virtù dei quali siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale – il consenso di uno dei conviventi esprime il consenso tacito degli altri, nelle seconde – connotate da una mera situazione di fatto – viene a definirsi per ciascuno dei coabitanti uno spazio esclusivo, che richiede, al fine di consentirne l’accesso a terzi, il consenso dell’avente diritto.
In altri termini, quando il domicilio è comune a più persone, alla inviolabilità del medesimo hanno diritto tutti i coabitanti e che il dissenso, espresso o tacito, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio. Il consenso può essere anche presunto, ma la presunzione è tanto più rilevante quanto più il rapporto di coabitazione si fondi su comunione di intenti, mentre viene meno quando, invece, il rapporto di coabitazione sia fondato su mere ragioni di opportunità e convenienza.
1.3. Nel caso in esame, da un lato non risulta dedotto che tra i fratelli M. , adulti, sussistesse una relazione di qualificata convivenza, tanto da potersi ritenere che il consenso all’ingresso prestato da M.D.D. consentisse all’indagato l’accesso nella stanza da letto in uso esclusivo alla persona offesa; dall’altro, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio per cui integra il reato di violazione di domicilio la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, deve ritenersi implicita la volontà contraria del titolare dello ius excludendi, non assumendo rilievo, invece, la mancanza di clandestinità nell’agente o l’assenza di violenza sulle cose (Sez. 5, n. 30742 del 12/04/2019, Guglione, Rv. 276907, N. 19546 del 2013 Rv. 256506, N. 35166 del 2005 Rv. 232566). Finalità illecite che – quantomeno sotto il profilo dello scherno e della violenza morale – neppure il ricorrente finisce per contestare, non assumendo, peraltro, portata decisiva neppure la prova di cui si deduce la sottovalutazione, indicativa – al più – di una dissociazione postuma dello S. , quando già l’irruzione e l’esposizione della vittima ad atti lesivi della dignità e del decoro erano stati consumati; atti che sarebbero stati, successivamente, reiterati dall’indagato mediante la divulgazione in chat dei video ritraenti l’incursione.
1.4. Nè s’appalesa risolutivo – in punto di procedibilità – il principio per cui ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 614 c.p., u.c. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni, con la conseguenza che se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell’altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 2 e il reato è procedibile a querela (Sez. 6, n. 9084 del 19/01/2018, B, Rv. 272339. N. 27542 del 2010 Rv. 247709, N. 11746 del 2012 Rv. 252260).
Ed invero, allo stato, tenuto conto che la vittima è stata colta nel sonno, s’appalesa del tutto plausibile che gli agenti abbiano esercitato una violenza anche fisica – rispetto alla quale il ricorrente ha prestato un apporto agevolatore (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990), sorretto quantomeno dal dolo eventuale – atta a vincere lo ius excludendi della medesima nella propria stanza da letto, e non già posto in essere atti violenti successivi all’illecita introduzione.
Non sussiste, pertanto, la violazione di legge denunciata.
2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.
3. Va disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Comments are closed