Su ricorso di un condominio, è stato ordinato a una s.r.l. condomina di rimuovere di rimuovere le due porte carrabili aperte nel muro perimetrale dell’edificio condominiale per mettere in comunicazione il garage di sua proprietà esclusiva con il cortile comune e con la pubblica via.
Ad avviso dei giudici, si era verificato un illecito utilizzo delle parti comuni, in quanto le aperture in questione, per le loro dimensioni, si connotavano come rilevanti alterazioni della destinazione del muro perimetrale, il quale veniva privato anche della sua funzione di contenimento.
Inoltre, sarebbe risultata ridotta la possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, stante la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato tramite una delle aperture realizzate. Ciò avrebbe anche cagionato un asservimento del bene comune alla proprietà individuale.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 15 ottobre – 24 novembre 2020, n. 26703 – Presidente Di Virgilio – Relatore Scarpa
Fatti di causa e ragioni della decisione
La ……… s.r.l. propone ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 6500/2015 della Corte d’appello di Roma, depositata il 23 novembre 2015.
Resiste con controricorso il Condominio di (omissis).
La Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto il gravame formulato dal Condominio di (omissis) , contro la pronuncia resa in primo grado il 1 giugno 2010 dal Tribunale di Roma, ed ha perciò ordinato alla ………. s.r.l. (avente causa della originaria convenuta N.Y.) di rimuovere le due porte carrabili aperte nel muro perimetrale dell’edificio condominiale per mettere in comunicazione il garage di sua proprietà esclusiva con il cortile comune e con la pubblica via. Ad avviso dei giudici di secondo grado, si era verificato un illecito utilizzo delle parti comuni, ex art. 1102 c.c., in quanto le aperture in questione, per le loro dimensioni, si connotavano come rilevanti alterazioni della destinazione del muro perimetrale, il quale veniva privato anche della sua funzione di contenimento, come accertato dalla CTU svolta nella fase cautelare del giudizio. Inoltre, sarebbe risultata ridotta la possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio (uso consentito dalla Delib. assembleare 25 giugno 2006), stante la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato tramite una delle aperture realizzate. Ciò avrebbe anche cagionato un asservimento del bene comune alla proprietà individuale.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.
La ……… s.r.l. ha depositato memoria in data 2 ottobre 2020.
Va premesso che il ricorso è stato intimato e notificato dalla ……… s.r.l. (chiamata in causa quale successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c.) soltanto al Condominio di (omissis), e non anche alla originaria convenuta N.Y. , nei cui confronti è stata altresì pronunciata la sentenza d’appello. Ora, il successore a titolo particolare per atto tra vivi di una delle parti del processo può intervenire volontariamente nel processo o esservi chiamato, senza che ciò comporti automaticamente l’estromissione dell’alienante o del dante causa, potendo questa essere disposta dal giudice solo se le altre parti vi consentano. Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione contro la sentenza, il successore intervenuto in causa e l’alienante non estromesso sono litisconsorti necessari e che, se la sentenza è impugnata, come nella specie, da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere, ordinata, anche d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro, a norma dell’art. 331 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 26/01/2010, n. 1535). In ogni modo, nel caso in esame, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, deve ritenersi superflua, in quanto il ricorso appare “prima facie” inammissibile, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670). Anche l’eventuale ricorso incidentale tardivo proposto dalla parte chiamata ad integrare il contraddittorio perderebbe ogni efficacia in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità della impugnazione principale, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2.
Il primo motivo di ricorso della ………… s.r.l. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata esatta motivazione sulle risultanze della CTU espletata nella fase cautelare, che aveva escluso l’alterazione della destinazione del muro come il pregiudizio statico arrecato allo stesso dalle due aperture.
Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., quanto al ritenuto pregiudizio al cortile comune per la sosta dei veicoli.
Il terzo motivo di ricorso della ……… s.r.l. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando la motivazione che potesse supportare la pronuncia di demolizione dell’apertura sulla pubblica via.
Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., sempre quanto al ritenuto pregiudizio al cortile comune per la sosta dei veicoli.
Il quinto motivo, infine, invoca la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto la ripetitività delle censure in essi contenute depone per la loro evidente connessione.
Tutti i motivi sono inammissibili.
La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. È perciò carente di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, agli effetti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il quinto motivo di ricorso che lamenta la nullità della pronuncia della Corte d’appello di Roma, senza considerare le parti della stessa comunque idonee a giustificare la valutazione espressa, e che sono, del resto, oggetto di critica nei primi quattro motivi di impugnazione.
La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina N.Y. avesse aperto sul muro perimetrale condominiale due porte carrabili, una verso il cortile comune ed una verso la pubblica via, porte che per le loro dimensioni comportavano una notevole alterazione della funzione di contenimento del muro, e che peraltro cagionavano una riduzione della possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, per la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato.
Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).
La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio può, perciò, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se uno o più dei detti vani siano già serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando ciò nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708; Cass. 14/12/1994, n. 10704; Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa (come avvenuto nel caso di specie, quanto al ritenuto pregiudizio arrecato al diritto dei condomini ad utilizzare il cortile quale area di parcheggio, come alla funzione di contenimento del muro comune), ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le censure della ricorrente, alcune riferite al parametro della violazione di norme di diritto (il quale suppone la deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla legge e non della fattispecie concreta emergente dalle risultanze di causa), altre all’omesso esame circa un fatto, sono in realtà volte a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie; il primo motivo, in particolare, per avere la Corte d’Appello disatteso le conclusioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio svolta nella fase cautelare, allorché l’ausiliare, pur avendo accertato che il muro “ha perso ogni funzione di contenimento”, avrebbe negato il pregiudizio statico arrecato dalle aperture realizzate.
In proposito, questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (“fatto” inteso in senso storico e normativo, e cioè un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). È quindi inammissibile l’invocazione dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. per sostenere che l’elaborato peritale non avrebbe confermato il superamento dei limiti posti dall’art. 1102 c.c. all’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino, ossia l’avvenuta alterazione della destinazione o l’impedimento all’uso paritetico agli altri comproprietari, essendo tali profili attinenti alla qualificazione giuridica di fatti ed alla verifica della conformità alla legge di determinati comportamenti, e perciò estranei al rilievo probatorio della CTU. La consulenza tecnica d’ufficio è, invero, funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano soltanto cognizioni di ordine tecnico, e non giuridico, sicché il consulente non può essere incaricato di svolgere accertamenti e di formulare valutazioni circa la legittimità di condotte umane, o di opere materiali, nè di ricostruire il contenuto e la portata di una norma o di un negozio, o di rinvenire la normativa applicabile alla fattispecie da giudicare.
Ancora, la ricorrente ambisce ad una rivalutazione dei fatti difforme da quella operata dal giudice di merito, sia in punto di consistenza strutturale delle opere, sia con riguardo alla loro dislocazione (si espone che l’apertura verso la pubblica via non ha collegamento col cortile e perciò non interferisce con l’area di parcheggio fruita dagli altri condomini), ma ciò suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione, in maniera da pervenire ad una diversa validazione e legittimazione inferenziale degli elementi probatori, del tutto inammissibile in sede di legittimità. D’altro canto, la Corte d’appello ha reputato compromesso il diritto al pari uso del cortile soltanto dalla “apertura della porta” che ad esso accede. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
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