I giudici di merito hanno ritenuto integrati i reati di violenza sessuale e di maltrattamenti in famiglia.
Contestata l’attendibilità della vittima, la Corte di cassazione ha fatto chiarezza, affermando che, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste.
Ciò premesso, si è ribadito che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.
Nel caso scrutinato, la ragazza è stata sempre sentita da personale esperto e, quindi, nessuna contaminazione o suggestione, è stata effettuata; inoltre, le sue dichiarazioni iniziali sono state spontanee, alla direttrice del centro di accoglienza e nessun intento di calunnia (è stato evidenziato. Il racconto è stato sempre lineare e dettagliato, pieno di particolari; inoltre, i fratelli della vittima hanno riferito che il patrigno era solito appartarsi nel bagno con la minore con la pretesa di farle la doccia; tale comportamento aveva insospettito uno dei fratelli che aveva avuto il timore che qualche cosa di brutto avveniva nel bagno, informando anche la madre.
Anche il reato di maltrattamenti in famiglia è stato confermato, a carico del patrigno e della madre della minorenne vittima. La ragazza infatti era sottoposta a ingiurie e umiliazioni ripetute e costanti e veniva trattata come “una pezza”, percossa per futili motivi. L’atteggiamento maltrattante si manifestava anche con il divieto per la minore di andare a scuola o di frequentare le amiche o anche di uscire di casa da sola; l’uomo, inoltre, aveva anche cancellato i numeri di telefono delle amiche, per evitare contatti. La minore inoltre veniva anche frequentemente percossa per futili motivi.
Quanto alla madre, i giudici hanno affermato che ha certamente contribuito alle condizioni di vita pregiudizievole per la minore, protratta per anni, senza intervenire mai in sua difesa.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre 2019 – 19 giugno 2020, n. 18574 – Presidente Sarno – Relatore Socci
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della Corte di appello di Venezia del 3 dicembre 2018 in parziale riforma della decisione del Tribunale di Verona del 12 giugno 2014 è stata rideterminata la pena nei confronti di Po. Pa. Gi. Cl. in anni 6 e mesi 6 di reclusione relativamente ai reati di cui agli art. 110, 572 cod. pen. – capo A, commesso sino al mese di maggio 2012 -, 81, 609 quater, cod. pen. – capo B, commesso nei confronti Pa. Je., nata il (omissis…), figlia della sua convivente, dall’anno 2010 fino al maggio 2012 -; è stata, invece, confermata la condanna di Gi. Ri. alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione relativamente al reato di cui agli art. 110 e 572 cod. pen. – capo A, commesso sino al mese di maggio 2012, commesso nei confronti della propria figlia Pa. Je. –
2. I due imputati hanno proposto ricorso in cassazione, tramite difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Po. Pa. Gi.. Violazione di legge (art. 438, quinto comma, cod. proc. pen.).
La Corte di appello e il Tribunale hanno rigettato la richiesta di giudizio abbreviato condizionato proposta dal ricorrente; per la giurisprudenza della Cassazione le ulteriori acquisizioni probatorie, alle quali si può condizionare il giudizio abbreviato, devono essere solo integrative e non sostitutive del materiale acquisito. Invece le decisioni in oggetto hanno escluso l’abbreviato poiché risultava incompatibile con la speditezza del rito l’attività istruttoria richiesta e sul presupposto (errato) che alcune persone (indicate tra le testimonianze da assumere nell’istanza di giudizio abbreviato) erano state già sentite. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la richiesta di giudizio abbreviato, condizionato all’acquisizione di testimonianze di persone già sentite, è ammissibile purché l’assunzione della prova sia effettivamente utile a verificare i profili di contraddizione delle iniziali deposizioni.
Inoltre, nei procedimenti con pluralità di imputazioni doveva essere valutata l’integrazione probatoria richiesta per tutte le imputazioni; conseguentemente la richiesta integrazione era relativa ad entrambi i capi di imputazione e al lasso temporale non breve della commissione dei fatti.
2.2. Manifesta illogicità della motivazione per il reato di cui al capo A dell’imputazione.
La Corte di appello ritiene provata la condotta contestata al ricorrente in relazione alle deposizioni dei fratelli della minore parte offesa. Tuttavia, i giudici di merito non si sono mai confrontati con quanto dichiarato dalla parte offesa, ovvero di non essere stata maltrattata. Il teste Ch. Pa., fratello della parte offesa, unitamente all’atro fratello (Lu. Pa.) descrivevano un ambiente familiare connotato da degrado e da misere condizioni sociali e, comunque, gli sfoghi d’ira del ricorrente, riferiti dai due testi, collegati alle faccende domestiche e ai compiti a scuola appaiono privi di rilevanza penale. Inoltre, i due fratelli non hanno un buon rapporto con il ricorrente e comunque le loro dichiarazioni andavano confrontate con quelle di diverso tenore della minore parte offesa.
2.3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per il capo B dell’imputazione.
La sentenza impugnata ritiene provata la responsabilità del ricorrente per il capo B dell’imputazione in ragione della credibilità della persona offesa e dei riscontri esterni alle dichiarazioni della minore.
Nell’appello si era evidenziata l’assenza di genuinità delle dichiarazioni della minore, peraltro sentita più volte prima dell’incidente probatorio, con evidente inquinamento.
Nessun testimone diretto è stato sentito ma la prova è stata raggiunta solo da testimoni de relato.
2. 4. Violazione di legge (art. 125, cod. proc. pen. e 62 bis cod. pen.); omessa motivazione relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Con motivazione solo apparente la Corte di appello non ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, rilevando la presenza di 4 precedenti penali. La Corte di appello non ha valutato le precarie condizioni sociali ed economiche del nucleo familiare.
3. Gi. Ri.. Mancata assunzione di una prova decisiva. La ricorrente aveva richiesto più volte una perizia sulla figlia minore, volta ad accertare la sua capacità a rendere testimonianza. Anche la richiesta del rito abbreviato era stata subordinata all’accertamento peritale in oggetto.
L’omessa assunzione della prova richiesta (perizia) ha certamente condizionato l’esito del giudizio nei confronti della ricorrente.
E’ emerso, inoltre, un forte quadro di condizionamento della minore rispetto ai suoi due fratelli che hanno accusato Po. per ragioni di rivalsa nei suoi confronti, in quanto egli si era rifiutato di mantenerli mettendoli anche fuori casa. L’istruttoria dibattimentale evidenziava, peraltro, un quadro familiare disagiato, precario, anche relativamente alle condizioni abitative. La minore pertanto non risulta del tutto attendibile e aveva “anche manifestato atteggiamenti psicologici rilevanti sotto il profilo patologico (il fratello Ch. riferisce che la stessa parlava di droghe)”.
2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, relativamente al trattamento sanzionatorio.
Anche i fratelli della parte offesa avevano riferito che i rapporti tra la ricorrente e la figlia erano buoni; inoltre, mai la figlia aveva riferito alla madre degli abusi del Po.. La stessa Corte di appello ha ritenuto che l’ambiente sociale e familiare, povero e pieno di difficoltà, era tale da giustificare le carenze di controllo della ricorrente sulla figlia minore. La valutazione di colpevolezza, del resto, deve rapportarsi alla condizione sociale e culturale dell’imputato e al suo stato intellettivo. La ricorrente non ha mai frapposto ostacoli all’allontanamento della minore per darle la possibilità di una vita migliore.
La pena inflitta conseguentemente deve ritenersi eccessiva, in considerazione all’incensuratezza e all’intensità del dolo della sua condotta.
Hanno chiesto, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata.
Considerato in diritto
4. I ricorsi sono inammissibili, perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, generici e ripetitivi dei motivi di appello, senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, i ricorsi, articolati in fatto, valutato nel loro complesso richiedono alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente Po., relativamente alla violenza sessuale e sulla piena attendibilità della parte offesa, e per i maltrattamenti in famiglia alla responsabilità di entrambi i ricorrenti.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965).
In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
5. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della minore, peraltro con riscontri concreti alle sue dichiarazioni sulla violenza sessuale.
Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste;
tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 – dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
5. 1. Nel nostro caso le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nel l’affrontare l’attendibilità della minore e la decisione impugnata valuta tutti gli aspetti della vicenda e con motivazione più che adeguata ha evidenziato come la ragazza è stata sempre sentita da personale esperto e, quindi, nessuna contaminazione o suggestione, è stata effettuata; del resto, le sue dichiarazioni iniziali sono state spontanee, alla direttrice del centro di accoglienza e nessun intento di calunnia (neanche prospettato del resto) è stato evidenziato. Il suo racconto è stato sempre lineare e dettagliato, pieno di particolari e del resto, riscontrato con le dichiarazioni dei suoi fratelli che hanno riferito come il ricorrente era solito appartarsi nel bagno con la minore con la pretesa di farle la doccia; tale comportamento aveva insospettito Ch. che aveva avuto il timore che qualche cosa di brutto avveniva nel bagno, informando anche la madre.
Il ricorso per Cassazione sul punto è generico ed articolato in fatto, non prospetta motivi di legittimità.
6. Anche sui maltrattamenti in famiglia (motivo proposto da entrambi i ricorrenti) la sentenza risulta adeguatamente motivata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità rilevando come dalle dichiarazioni convergenti dei due fratelli della persona offesa si rinviene la piena prova della commissione del reato così come contestato per la madre della minore e per Po.. I testi riferivano delle ingiurie e umiliazioni ripetute e costanti alla sorella che veniva trattata come “una pezza”.
L’atteggiamento maltrattante era culminato anche con il divieto per la minore di andare a scuola o di frequentare le amiche o anche di uscire di casa da sola; inoltre il ricorrente le aveva anche cancellato i numeri di telefono delle amiche, per evitare contatti. La minore inoltre veniva anche frequentemente percossa per futili motivi. Anche la teste di P.G. Fa., che si era recata in casa della minore, aveva riscontrato una condizione della stessa di sofferenza (magra, con le occhiaie, triste e con tendenze al suicidio per le sue condizioni di vita in famiglia).
La madre ha certamente contribuito alle condizioni di vita pregiudizievole per la minore, protratta per anni, senza intervenire mai in sua difesa.
7. Manifestamente infondato risulta anche il primo motivo proposto da Gi. Ri., relativo alla mancata assunzione di una prova decisiva (la perizia sulla capacità di testimoniare della minore), sia perché la perizia non è mai prova decisiva, e sia perché nel ricorso per Cassazione, comunque, non si rappresenta la decisività della prova, quale accertamento idoneo a scardinare l’intero impianto probatorio: «La mancata effettuazione di un accertamento peritale (nella specie sulla capacità a testimoniare di un minore vittima di violenza sessuale) non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc.p en., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività» (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017 – dep. 31/08/2017, A e altro, Rv. 27093601; vedi anche Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 – dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 25370701; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 – dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 25515201).
Del resto, le decisioni di merito evidenziano, in doppia conforme, l’assenza di elementi di patologia, anche in relazione all’età di 15 anni e della sostanziale coerenza della deposizione, al momento dell’assunzione dell’incidente probatorio.
8. Infondato il motivo della illegittimità dell’esclusione del rito abbreviato proposto da Po.. La decisione risulta, sul punto, adeguatamente motivata, rilevando l’assenza di novità delle prove e, inoltre, non risulta che il ricorrente abbia riproposto l’istanza entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: “In caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad un’integrazione probatoria, affinché il giudice di primo grado ed eventualmente il giudice dell’impugnazione possano procedere a sindacare nel merito detta decisione, è necessario che la parte abbia riproposto al giudice di primo grado, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, la medesima richiesta già oggetto del provvedimento di rigetto” (Sez. 1, n. 20758 del 13/02/2018 – dep. 10/05/2018, Valentini e altro, Rv. 27312601; vedi anche Sez. 1, n. 21219 del 27/04/2011 – dep. 26/05/2011, Carlino e altro, Rv. 25023201).
Circostanza questa neanche prospettata nel ricorso in cassazione.
7. Anche relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche al ricorrente Po., la decisione risulta adeguatamente motivata con completa analisi rilevando la pena adeguata ai fatti e la presenza di precedenti penali per reati contro la persona, calunnia e reati contro il patrimonio, nell’assenza di elementi positivi.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici. (Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 – dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716; Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 -dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249731).
Le attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis cod. pen. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidità dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorché questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perché il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può, quindi, dar luogo né a violazione di legge, né al corrispondente difetto di motivazione. (Sez. 3, n. 44883 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cavicchi, Rv. 260627).
8. Anche il motivo sul trattamento sanzionatorio di Gi. Ri. risulta generico e manifestamente infondato. La Corte di appello ha ampiamente motivato sulla determinazione della pena ritenuta adeguata ai fatti ed alle conseguenze pregiudizievoli per la minore derivate dall’interruzione della scuola; del resto, la povertà culturale della donna risulta già valutata da Tribunale per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Comunque, «In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena» (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 – dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00 ciascuno e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
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