Gli accertamenti sul dna rinvenuto su un calzino utilizzato da uno degli aggressori ha permesso di condannare l’imputato per il reato di tentata rapina e lesioni personali.
Per i giudici, l’individuazione delle tracce genetiche dell’imputato corrisponde alla prova della certa partecipazione alle condotte in contestazione a nulla rilevando la mancanza di ulteriori tracce e la mancanza di conferme dai tabulati telefonici; peraltro l’imputato non forniva spiegazioni alternative su circostanze per le quali il suo dna sarebbe finito sul calzino usato per occultare le prove della rapina e cioè come guanto per non lasciare le impronte digitali.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 marzo – 13 maggio 2021, n. 18871 – Presidente Gallo – Relatore Tutinelli
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza 26 febbraio 2019 del GIP del Tribunale di Padova di condanna dell’odierno ricorrente in relazione a fattispecie di rapina e lesioni.
A fondamento della dichiarata penale responsabilità, le dichiarazioni della persona offesa e gli accertamenti sul DNA rinvenuto su un calzino utilizzato da uno degli aggressori.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato F.A. articolando i seguenti motivi.
2.1. Vizio di motivazione in ordine alla dichiarata penale responsabilità e in relazione alla valenza attribuita alla prova del DNA.
Il ricorrente afferma l’insufficienza della accertata corrispondenza del DNA rinvenuto sul calzino utilizzato all’atto della tentata rapina e il DNA dell’imputato ai fini dell’accertamento della penale responsabilità. Mancherebbe infatti una verifica dei rimanenti indizi che riscontrino l’affermata colpevolezza tanto più ove si consideri che ci si trova di fronte ad un accertamento irripetibile. Dovrebbe al proposito considerarsi che l’acquisizione dei tabulati telefonici non ha minimamente riscontrato la presenza dell’imputato sul luogo dei fatti nè al momento in cui gli stessi sono avvenuti nè in epoca precedente. Dovrebbe ancora considerarsi il fatto che nessuna traccia papillare o genetica è stata trovata nè sulla borsa della vittima di cui il rapinatore si era momentaneamente impossessato nè sugli oggetti in essa contenuti.
2.2. Vizio di motivazione in relazione alla attendibilità della perizia del R.I.S. in relazione alla attendibilità degli esami preliminari. Il ricorrente afferma che il carattere positivo del COMBUR TEST non sarebbe significativo mentre la negatività al BIOSIGMA FOB attesterebbe che quello da cui è stato estratto il DNA non sarebbe sangue umano e quindi il DNA stesso non sarebbe attribuibile all’imputato. Non sarebbe inoltre possibile comprendere se il DNA utilizzato fosse nucleare o mitocondriale il che inciderebbe sulla possibilità di fare affidamento sull’accertamento medesimo. Il fatto che non siano state trovate altre tracce biologiche quali pelle o sudore nel calzino intaccherebbe la significatività del ritrovamento e la possibilità di ricollegare la traccia biologica alla commissione del delitto.
2.3. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis). Secondo il ricorrente, l’aggressione sarebbe avvenuta al di fuori della abitazione della persona offesa e delle pertinenze della abitazione medesima come desumibile dalle fotografie in atti e ciò avrebbe dovuto portare ad escludere la sussistenza dell’aggravante in parola.
2.4. Violazione di legge vizio di motivazione in punto determinazione della pena, diniego delle circostanze attenuanti generiche, mancata disapplicazione della recidiva.
In particolare, il ricorrente afferma “che la dichiarazione di estinzione del reato in relazione a due precedenti per contravvenzioni del 2012 e del 2014 avrebbe portato a considerare utilizzabili per la contestazione della recidiva sono una condanna per fatti del 2015 e alcune condanne anteriori all’anno 2001” e che comunque la motivazione non sarebbe adeguata in punto concessione delle attenuanti generiche e disapplicazione della recidiva.
3. Con memoria depositata il 3 marzo 2021, il ricorrente ha depositato conclusioni scritte ribadendo gli argomenti già svolti e ha depositato nota spese chiedendo la liquidazione dei compensi in ragione della ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi come il rinvenimento di tracce del DNA dell’imputato sul calzino che il rapinatore aveva usato a mò di guanto e che era stato ritrovato sul luogo dei fatti non risulti suscettibile di interpretazione alternativa posta la certa identificazione dell’oggetto, l’altrettanto certa finalizzazione dello stesso, la mancanza di elementi che potessero far ritenere sussistente alcun profilo di contaminazione. Ne consegue che, stante la certa strumentalità dell’oggetto su cui il DNA era stato rinvenuto alla violenza e all’impossessamento, l’individuazione delle tracce genetiche dell’imputato corrisponde alla prova della certa partecipazione alle condotte in contestazione a nulla rilevando la mancanza di ulteriori tracce e la mancanza di conferme dai tabulati telefonici, tanto più ove si consideri che nemmeno il ricorrente è riuscito a spiegare in quale altro modo sia finito il DNA sul calzino se non proponendo una versione complottistica ed inverosimile, logicamente disattesa dai giudici del merito e nemmeno riproposta in sede di ricorso.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi come il certo campionamento di DNA umano implica l’irrilevanza della individuazione del vettore.
Del tutto priva di coerenza con il contenuto del fascicolo processuale l’affermazione per cui il DNA non sarebbe umano non potrebbe appartenere all’imputato stante l’affermazione chiara e netta della natura del reperto da parte dei consulenti e stante la considerazione statistica che una identica struttura del DNA sarebbe possibile in un caso su 3,89 x 1019. Anche a volere estendere la popolazione di confronto anche al regno animale e vegetale, non sarebbe possibile individuare un numero di esseri viventi tali da coprire il margine di dubbio. Rimane di conseguenza la certa attribuzione al ricorrente del DNA rinvenuto e quindi il collegamento tra il calzino usato per commettere la rapina e nascondere le proprie tracce e il ricorrente medesimo.
Tale precisazione statistica permette fra l’altro di individuare con certezza che il DNA individuato fosse nucleare posto che il DNA mitocondriale avrebbe offerto una valenza statistica assai minore come correttamente e logicamente argomentato dai giudici del merito.
Ulteriormente logica e corretta è la motivazione dei giudici del merito in ordine al mancato ritrovamento di ulteriori vettori biologici, quali pelle o sudore, che costituisce senz’altro circostanza peculiare ma che non esclude la valenza dell’accertamento svolto.
4. Quanto al terzo motivo di ricorso, dall’esame di entrambi i provvedimenti di merito, le fotografie scattate sulla scena del delitto mostrano una automobile che era entrata solo con la parte anteriore nel vialetto di ingresso della abitazione della persona offesa. Tale elemento, unitamente alle dichiarazioni della persona offesa evidenziano una situazione di incertezza in ordine allo svolgimento delle condotte all’interno delle pertinenze della abitazione della stessa, superate in maniera apodittica dai giudici del merito in sede di motivazione. In presenza di una siffatta incertezza, deve escludersi la presenza di elementi sufficienti per affermare la sussistenza dell’aggravante con conseguente annullamento della sentenza impugnata sul punto. Tuttavia, la Corte territoriale – pur non escludendo la sussistenza dell’aggravante – ha rilevato la irrilevanza – ai fini sanzionatori della questione in presenza di residue circostanze aggravanti esorbitanti il limite di cui all’art. 63 c.p. e ha effettuato un giudizio di valenza che esclude la possibilità di modificare la risposta sanzionatoria in termini più favorevoli per il ricorrente. Tale dedotta irrilevanza esclude la presenza di un concreto interesse del ricorrente. Infatti, l’interesse richiesto dall’art. 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quell’esistente; pertanto, qualora il Pubblico Ministero denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, Sent. n. 42 del 13/12/1995 Rv. 203093). Situazione che nel caso di specie non ricorre.
5. Il motivo in ordine alla eccessività del trattamento sanzionatorio, al carattere ingiustificato del diniego delle circostanze attenuanti generiche, alla illogicità della applicazione della recidiva risulta essere inammissibile in quanto generico e comunque manifestamente infondato.
La genericità del motivo deriva dal fatto che l’articolazione dello stesso non pare confrontarsi con specifici passaggi argomentativi della sentenza impugnata che, sia in punto recidiva sia in punto circostanze attenuanti generiche ha considerato la presenza di “numerosi precedenti definitivi anche a carattere specifico (…) cinque furti, (…) rapina, possesso ingiustificato di arnesi da scasso (due volte), resistenza a pubblico ufficiale, porto d’arma” e il fatto che “le certificazione dei carichi pendenti attestano pendenze per altri reati contro il patrimonio (…) deferito in data 9/6/17 per percosse e minacce, sottoposto successivamente alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare, deferito in data 4/11/17 per il reato di cui all’art. 707 c.p..
In data 26/1/18 per minacce, lesioni aggravate, atti persecutori, in data 16/3/18 per furto aggravato e in data 22/4/18 peraltro furto”.
Alla luce di tali affermazioni risulta corretta l’affermazione di una dimostrata indifferenza dell’imputato alle decisioni dell’autorità giudiziaria e la proclività dello stesso alla violazione della legge penale a riprova di una accentuata capacità criminale. Le stesse considerazioni, unitamente a quelle attinenti alla gravità della condotta e al grado di violenza esercitato, legittimamente fondano il rigetto delle circostanze attenuanti generiche in presenza di una allarmante valutazione della personalità dell’imputato e in difetto di elementi valutabili a favore.
6. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2000,00.
6.1. Non vi è luogo a provvedere sulla richiesta di liquidazione dei compensi in conseguenza della ammissione al patrocinio a spese dello stato sia in conseguenza della dichiarata inammissibilità dell’impugnazione (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 106) sia perché è inammissibile l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata davanti alla Corte di cassazione, atteso che il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 93 e 96 riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere (Sez. 5 -, Sentenza n. 3538 del 17/12/2018 – dep. 24/01/2019 – Rv. 275413 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
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