La vittima presentava due assegni circolari quale acconto sul prezzo della futura vendita immobiliare ma il promittente alienante se ne appropriava indebitamente, ritenendole una copertura delle spese amministrative e tecniche.
Denunciato l’alienante per appropriazione indebita, i giudici lo hanno condannato, motivando che la causale dell’anticipo versato dal promissario acquirente non riguardava la copertura delle spese ma era un acconto sul prezzo di vendita. In ogni caso, affermano i giudici di merito, una volta che gli imputati si resero conto dell’impossibilità di realizzare il progetto immobiliare avrebbero dovuto restituire la somma ricevuta. Tale mancanza configurerebbe il reato di appropriazione indebita.
Questo reato si caratterizza per la lesione del diritto di proprietà o di altro diritto reale dall’offesa portata mediante l’abuso di un possesso non delittuosamente conseguito.
Con il reato di appropriazione indebita il legislatore ha inteso incriminare il fatto di chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, avendo solo il possesso della cosa mobile, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso in cui si tratti di una somma di danaro.
Ma la Corte di cassazione annulla la sentenza.
Sul tema, si è già affermato che non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del promittente venditore che, a seguito della risoluzione del contratto preliminare per l’acquisto di un immobile, non restituisca al promissario acquirente la somma ricevuta a titolo di acconto sul prezzo pattuito. Invero, a seguito della dazione, la somma di denaro è entrata definitivamente a far parte del patrimonio dell’accipiens, senza alcun vincolo di impiego, con la conseguenza che, nel caso di in cui il contratto venga meno tra le parti, matura solo un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, integra esclusivamente un inadempimento di natura civilistica.
Per valutare la situazione in esame occorre chiarire i termini del procedimento negoziale sul quale si formò l’accordo, al fine di verificare se il ritenuto inadempimento possa integrare, “oltre il torto” civile, anche gli estremi del reato di appropriazione indebita del denaro detenuto a titolo di acconto sul prezzo della promessa di futura vendita immobiliare (di cosa da edificare su suolo di un terzo) oggetto di opzione.
Nel caso in esame, ad avviso della Suprema Corte, la condotta accertata in fatto sarebbe suscettibile di colorarsi di penale illiceità soltanto se sull’acconto versato al promittente futuro venditore fosse stato imposto un preciso vincolo di destinazione, tradito poi dall’accipiens; il che non corrisponde a quanto accertato nel giudizio di merito, ove è stata raggiunta la prova del mero rifiuto di restituire le somme versate in acconto sul prezzo della futura ed eventuale vendita.
In tal caso, dunque, la somma versata a titolo di acconto, stante la naturale fungibilità del denaro, si è confusa nel patrimonio dell’accipiens, perdendo il carattere della “altruità”, diversamente da quanto sarebbe accaduto per altra cosa mobile infungibile, che avrebbe viceversa mantenuto il suo carattere identitario nonostante la traditio.
Nella fattispecie, l’acconto versato non si caratterizzava per alcun impiego vincolato: di conseguenza, nel caso di sopravvenuta impossibilità di addivenire al preliminare, è maturato il solo obbligo di restituzione, che, ove non adempiuto, integra gli estremi di un inadempimento contrattuale di natura civilistica.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 maggio – 16 giugno 2021, n. 23783 – Presidente Rago – Relatore Perrotti
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermava le statuizioni afferenti alla accertata responsabilità ed alla sanzione irrogata contenute nella sentenza di primo grado, che aveva condannato i ricorrenti per il reato di concorso in appropriazione indebita della somma di Euro cinquemila, portata in due assegni circolari ricevuti dalla persona offesa, quale acconto sul prezzo della futura vendita immobiliare promessa. Con la medesima sentenza la Corte territoriale escludeva il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in primo grado a T.M. e revocava il medesimo beneficio, già concesso allo stesso con due precedenti decisioni irrevocabili (2.11.1995 e 30.9.1997) del tribunale di Nuoro.
1.1. Avverso tale sentenza ricorrono gli imputati, a mezzo del comune difensore, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti di seguito sinteticamente esposti, secondo quanto dispone l’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1.1. violazione della legge penale e vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e, in relazione all’art. 124 c.p.), in relazione alla ritenuta tempestività della querela sporta dalle persone offese in data 3 luglio 2012, atteso che gli offesi sin dall’aprile precedente avevano avuto contezza della volontà dei promittenti alienanti di non accedere più alla stipula del contratto preliminare e di non restituire le somme ricevute in acconto con la consegna dei due assegni circolari;
1.2. violazione della norma penale incriminatrice e della regola di giudizio che presiede alla valutazione della prova, vizio esiziale di motivazione per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della stessa (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e), in ragione della assenza di sostanziale motivazione in ordine alla dedotta carenza degli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita, difettando sia la condotta appropriativa del denaro altrui consegnato a titolo di acconto sul prezzo della vendita-, sia la stessa volontà di appropriarsene illecitamente, avendo gli imputati sostenuto certamente delle spese per incarichi tecnici affidati a terzi e per oneri concessori, sia ancora la stessa prova della intervenuta interversione nel possesso delle somme portate dagli assegni circolari consegnati (non si dà conto della loro eventuale presentazione per l’incasso), sia infine della volontà di trarre profitto dal possesso degli assegni;
1.3. i medesimi vizi sono denunziati anche in riferimento alla negazione immotivata delle circostanze attenuanti generiche ed all’eccessivo rigore della sanzione irrogata (mesi 4 di reclusione ed Euro mille di multa);
In favore del solo T.M. la difesa deduce:
1.4. violazione della legge penale (artt. 163, 164 e 168 c.p.), in quanto il giudice della cognizione, intervenuto quando i benefici erano stati concessi con sentenze già irrevocabili, non poteva incidere sul giudicato favorevole formatosi sul punto;
1.5. ancora violazione della legge penale (art. 172 c.p., artt. 648 e 674 c.p.p.), per non avere il giudice della cognizione -intervenuto con la revoca dei benefici allorquando le pene dovevano ritenersi già estinte, per il decorso di oltre un decennio dalla irrevocabilità – ravvisato la estinzione delle pene ai sensi dell’art. 172 c.p.;
1.6. infine, nell’interesse di entrambi, dichiarare il reato di appropriazione indebita estinto per intervenuta prescrizione.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, mentre il secondo è fondato ed assorbe tutte le successive deduzioni.
1.1. Quanto a ritenuta tempestività della querela (primo motivo), nella doppia valutazione conforme di merito si è inteso valorizzare il momento in cui le persone offese ebbero la certezza che gli imputati, non avendo intenzione di concludere il contratto preliminare di compravendita immobiliare prospettato, manifestarono, per fatti concludenti, di voler trattenere la somma ricevuta a titolo di acconto sul prezzo futuro. Tale definitiva contezza si manifestò alle persone offese solo con la mancata risposta alla diffida spedita a mezzo raccomandata e ricevuta il 4 giugno 2012, sì da rendere tempestiva la querela sporta il 3 luglio successivo. Il Collegio intende sul punto offrire continuità a quell’orientamento giurisprudenziale (Sez. 6, n. 24380, del 12/3/2015, Rv. 264165), assolutamente condiviso, che stima tempestiva la proposizione della querela allorquando il fatto si manifesti in tutti i suoi certi elementi costitutivi, dovendo la decadenza ex art. 124 c.p. essere accertata secondo criteri rigorosi e non sulla base di supposizioni o ipotesi, prive di adeguato supporto probatorio (in tema anche Sez. 5, n. 46485, del 20/6/2014, Rv. 261018; Sez. 2, n. 37584, del 5/7/2019, Rv. 277081).
1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno fondatamente inteso censurare la divisata sussistenza del fatto tipico (art. 646 c.p.: possesso del denaro “altrui”, appropriazione di tale denaro facendone cosa propria, finalità di profitto per sé o per altri), sia sotto il profilo materiale, che per difetto dell’elemento psicologico, che – infine – per deficit probatorio della concretezza del profitto voluto e realizzato. La Corte ha argomentato, sul primo punto dedotto con il secondo motivo di gravame, affermando che la causale dell’anticipo versato dagli autori dell’opzione sul preliminare di vendita immobiliare non riposava affatto sulla copertura delle spese amministrative e tecniche che il promittente alienante, vincolato alla opzione, avrebbe dovuto sostenere, trattandosi viceversa della avvenuta appropriazione, come cosa propria, della somma di denaro -portata dagli assegni circolari- consegnata in conto prezzo della futura vendita. In ogni caso, una volta che gli imputati (nell’aprile 2012) acquisirono contezza della impossibilità di realizzare il progetto immobiliare nel quale era ricompresa l’edificazione dell’abitazione oggetto di opzione su futuro preliminare di vendita, avrebbero senz’altro dovuto restituire la somma ricevuta a titolo di acconto; tale inadempimento integrerebbe dunque gli estremi del fatto tipico di penale rilevanza, avendo gli agenti acquisito come proprio il denaro ricevuto a titolo di acconto in vista dell’acquisto di cosa futura.
1.2.1. Occorre, ad avviso del Collegio, preliminarmente definire gli elementi strutturali del delitto di appropriazione indebita (così qualificata già in primo grado la truffa contestata dal p.m.) per come differenziatasi, nel corso dei secoli XVIII e XIX, tale fattispecie dal coacervo identitario del furto (la cui offensività rimase focalizzata sul momento della “sottrazione” al possessore), per assumere prima le vesti del “furto improprio” (offensivo della proprietà disgiunta dal possesso), di poi, con la codificazione francese del 1810, quelle dell’abuse de confiance. Tale carattere rimase immanente in tutte le codificazioni preunitarie, così come nel codice sardo-italiano, confluendo con la codificazione del 1889 nella fattispecie descritta all’art. 417 del codice “Zanardelli”: chiunque si appropria, convertendola in profitto di sé o d’un terzo, una cosa altrui che gli sia stata affidata o consegnata per qualsiasi titolo che importi l’obbligo di restituirla o di farne un uso determinato, è punito, a querela di parte….
Ciò che caratterizzava l’appropriazione indebita era, ed è ancor oggi, la lesione del diritto di proprietà o di altro diritto reale dall’offesa portata mediante l’abuso di un possesso non delittuosamente conseguito. Già da queste premesse traspare dunque con evidenza la ratio della incriminazione: consegue che il fatto non può definirsi tipico tutte le volte in cui il titolo del possesso è tale da trasferire nel possessore anche la titolarità della cosa mobile o del denaro, “ancorché la cosa siasi data in corrispettivo di una prestazione futura, poscia non eseguita” (in questi precisi termini la dottrina coeva alla codificazione del 1930, che orientò in allora le scelte del legislatore).
Con il reato di appropriazione indebita il legislatore del 1930 ha quindi inteso incriminare il fatto di chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, avendo solo il possesso della cosa mobile, dia alla stessa -nolente domino- una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso in cui si tratti di una somma di danaro (Sez. 2, n. 12869, del 8/3/2016, Rv. 266370). Ciò posto, deve subito rammentarsi che sullo specifico punto oggetto della deduzione difensiva questa stessa sezione della Corte (sent. n. 15815 del 8/3/2017, Rv. 269462) ha avuto moto di affermare il seguente principio: “Non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del promittente venditore che, a seguito della risoluzione del contratto preliminare per l’acquisto di un immobile, non restituisca al promissario acquirente la somma ricevuta a titolo di acconto sul prezzo pattuito. In motivazione, si è precisato che a seguito della dazione, la somma di denaro è entrata definitivamente a far parte del patrimonio dell’accipiens, senza alcun vincolo di impiego, con la conseguenza che, nel caso di in cui il contratto venga meno tra le parti, matura solo un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, integra esclusivamente un inadempimento di natura civilistica.
Il principio è stato già più volte espresso, ove si tratti di somme ricevute a titolo di acconto, da Sez. 2 (n. 29424, del 15/6/2011, Rv. 251026), avversata in forma isolata da altra pronuncia (Sez. 2 n. 48136, del 21/11/2013, Rv. 257483), che tuttavia non affronta il tema della necessaria violazione del vincolo di destinazione imposto alla somma consegnata. Più in generale sul tema della “altruità” penalmente rilevante: Sez. 2, 27540/2009; mentre sul concetto di “altruità e vincolo di destinazione” occorre confrontarsi con l’arresto a Sez. U. (ancorché con riferimento a differente rapporto obbligatorio) n. 37954 del 25/05/2011, Rv. 250974; sul concetto di “altruità” non strettamente civilistico si veda pure Sez. U. n. 1327/2005.
Più recentemente, ancora questa stessa sezione (n. 37820 del 26/11/2020, Rv. 280465), con riferimento alla vendita di cosa altrui, ha pure affermato che: Integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del venditore di cosa di terzi che si impossessi dell’importo corrisposto a titolo di acconto sul prezzo pattuito, violando, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, atteso che tale somma di denaro è vincolata all’acquisito di un bene determinato e non rientra nella proprietà del venditore, che non può usufruirne liberamente, dovendola destinare al reperimento del bene posto in vendita, da trasferire immediatamente all’acquirente. In motivazione si è avuto modo di specificare che nella vendita di cose di terzi il venditore riceve dal compratore un acconto sul prezzo, che viene però specificamente “destinato” all’acquisizione di quel determinato bene; la somma di denaro, pertanto, non si confonde con il patrimonio finanziario del venditore, che non può certo usufruirne ad libitum, dovendo invece destinarla al reperimento di quella specifica cosa che ha proposto in vendita, pur non essendone ancora venuto in possesso. La vendita di cose di terzi è infatti contratto con effetti obbligatori, comportando per il venditore l’onere di reperire il bene e trasferirlo immediatamente all’acquirente, con la necessaria conseguenza che il mancato reperimento del bene altrui proposto in vendita e l’acquisizione della somma ricevuta a titolo di acconto integra proprio l’ipotesi di appropriazione indebita. La pronuncia si pone in continuità con Sez. 2, n. 50672/2017, che valorizza ai fini della integrazione della fattispecie la violazione del vincolo fiduciario di destinazione imposto al denaro consegnato all’accipiens.
Nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora oggetto della condotta appropriativa sia il denaro, è necessario quindi che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica “destinazione di scopo” ad esso impressa dal contraente al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute in prestito o in acconto (Sez. 2, n. 24857 del 21/04/2017, Rv. 270092, in tema di mutuo). In questa direzione volgeva, del resto, già la dottrina che aveva orientato le scelte del legislatore: si sosteneva infatti che se si tratta di un contratto per effetto del quale la parte ricevente abbia acquisito la proprietà delle cose fungibili, con l’obbligo di restituirne altrettante nella specie e qualità, la mancata restituzione dà luogo soltanto ad un torto civile, giammai al delitto di appropriazione indebita. Può dunque pacificamente ancor oggi affermarsi che l’elemento qualificante (come penalmente rilevante) l’inadempimento dell’obbligo di restituzione delle somme ricevute a titolo di acconto sul futuro prezzo va individuato nella eventuale sussistenza di un “vincolo specifico di destinazione” impresso alla somma consegnata, potendo conseguentemente ritenersi integrati gli estremi del reato laddove l’accipiens violi tale specifica destinazione di scopo, distogliendo la ragione del possesso dalla sua causa (giur. costante: Sez. 2, n. 56935 del 31/10/2018, Rv. 274257; Sez. 2, n. 57383 del 17/10/2018, Rv. 274889; Sez. 2, n. 17693, del 17/1/2018, in tema di mandato; Sez. 2, n. 50672 del 24/10/2017, Rv. 271385: Ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale o altro tipo di distrazione non autorizzata, la specifica destinazione di scopo che esso può avere, non essendo sufficiente il solo mancato versamento del denaro a chi è in astratto legittimato a riceverlo. In continuità con Sez. 2, n. 43119/2016, 25281/2016, 50156/2013, 46256/2013, 46586/2011; principio ribadito anche in sede civile da Sez. 3 civ., n. 14256, del 8/7/2020, Rv. 658331).
1.2.2. Occorre dunque chiarire in fatto, nella fattispecie oggetto di imputazione, i termini del procedimento negoziale sul quale si formò l’accordo, al fine di verificare se il ritenuto inadempimento possa integrare “oltre il torto” civile anche gli estremi del reato di appropriazione indebita del denaro detenuto a titolo di acconto sul prezzo della promessa di futura vendita immobiliare (di cosa da edificare su suolo di un terzo) oggetto di opzione.
1.2.2.1. La Corte territoriale ha riportato -a pag. 7 della sentenza impugnata- il testo del documento sottoscritto dalle partì all’atto della consegna degli assegni circolari conferiti in acconto “in attesa di procedere alla stipula del contratto preliminare di vendita riguardante l’immobile sito in…. l’acquirente consegna la somma di Euro 5.000, come da assegni allegati…”. Tale negozio va qualificato come patto di opzione (Sez. 2 civile, n. 28762 del 30/11/2017, Rv. 646533), funzionale alla conclusione del contratto preliminare di compravendita immobiliare, che produce effetti solo obbligatori (Sez. 2 civile, n. 30083 del 19/11/2019, Rv. 656202), ma che certamente non imprime al denaro consegnato alcun vincolo di destinazione.
Orbene, alla luce dei principi innanzi richiamati e scontato l’inadempimento della obbligazione pecuniaria restitutoria in conseguenza dell’aborto della iniziativa immobiliare progettata (non si riuscì a realizzare neppure l’acquisto del suolo avente vocazione edilizia), la condotta accertata in fatto sarebbe suscettibile di colorarsi di penale illiceità soltanto se sull’acconto versato al promittente futuro venditore fosse stato imposto un preciso vincolo di destinazione, tradito poi dall’accipiens; il che non corrisponde a quanto accertato nella sede propria del merito, ove è stata raggiunta la prova del mero rifiuto di restituire le somme versate in acconto sul prezzo della futura ed eventuale vendita.
In tal caso, dunque, la somma versata a titolo di acconto, stante la naturale fungibilità del denaro, si è confusa nel patrimonio dell’accipiens, perdendo il carattere della “altruità”, diversamente da quanto sarebbe accaduto per altra cosa mobile infungibile, che avrebbe viceversa mantenuto il suo carattere identitario nonostante la traditio. Tale ermeneusi si pone del resto in continuità con quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale ove la somma “non sia stata corrisposta al percettore con uno specifico mandato atto a tracciare la destinazione finale della somma stessa – il che determinerebbe in capo all’accipiens la posizione di mero detentore del denaro che resterebbe fino all’esecuzione del mandato di proprietà del dante causa – ma sia stata invece erogata a titolo di prezzo, parziale o totale di una normale compravendita, l’ipotesi della appropriazione indebita non può essere configurata. Ciò, per l’assorbente rilievo che attraverso la dazione del prezzo il bene è passato definitivamente in proprietà dell’accipiens, il quale, a sua volta, non potrà che essere tenuto all’adempimento dell’obbligazione contratta: vale a dire la consegna del bene compravenduto” (Sez. 2, n. 24669, del 21/6/2007, ric. Adinolfi, n. m.; in continuità con Sez. 2, n. 5732 del 5/2/1982 Rv. 154152, riferita alla consegna della caparra).
Nella fattispecie, l’acconto versato non si caratterizzava per alcun impiego vincolato: di conseguenza, entrando la somma di denaro a far parte del patrimonio finanziario dell’accipiens, a carico di costui, nel caso di sopravvenuta impossibilità di addivenire al preliminare, matura il solo obbligo di restituzione, che, ove non adempiuto, integra gli estremi di un inadempimento contrattuale di natura civilistica.
1.3. Il fatto descritto in imputazione, così come qualificato nel giudizio di merito, non è tipico per difetto della altruità del denaro posseduto a titolo di acconto sul futuro prezzo e, dunque, non sussiste.
La sentenza impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio, alla stregua del seguente principio di diritto: “Non integra il delitto di appropriazione indebita ma, eventualmente, solo un inadempimento civilistico, la condotta dell’agente che si rifiuti di restituire il denaro per il quale – al momento della consegna – non sia stata pattuita, con il proprietario del medesimo, una destinazione specifica, in quanto il bene, entrando a far parte del patrimonio dell’accipiens, diventa di sua proprietà.
Di conseguenza, costituisce mero inadempimento civilistico, la condotta del soggetto opzionato in vista della promessa di vendita di cosa futura che, a seguito della impossibilità di adempiere, non restituisca al soggetto opzionante la somma ricevuta a titolo di acconto sul prezzo futuro pattuito, in quanto la somma non è stata corrisposta al percettore con uno specifico vincolo di destinazione, ma è stata erogata a titolo di prezzo, parziale, della futura compravendita”.
Restano assorbiti dalla decisione gli ulteriori motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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