Ribaditi i principi già espressi dalla giurisprudenza in tema di obblighi di custodia per il titolare della strada.
Nel caso di specie una donna aveva citato il Comune per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza a un sinistro occorso nello scendere dal gradino del marciapiede, fatto da cui aveva riportato danni personali.
Si è affermato che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà (art. 2 Cost.). Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato che la causa del sinistro era da ricondurre al caso fortuito (che interrompe il legame tra custode, cosa pericolosa e danno) consistente nel comportamento imprudente della danneggiata. Infatti, la presenza dell’avvallamento pericoloso era ben visibile in considerazione sia dell’ora diurna in cui la caduta era avvenuta, sia delle caratteristiche intrinseche dello stesso. Dalle foto prodotte e dalla deposizione testimoniale del vigile urbano escusso risultava che l’avvallamento era distinguibile senza problemi, avendo una profondità di circa 10 cm distribuita su di un piano di calpestio pari a circa cm 50 per cm. 150; per cui anche dall’alto della scalinata la caduta sarebbe stata evitabile ove la danneggiata non avesse tenuto un comportamento imprudente.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 26 gennaio – 10 marzo 2021 n. 6554 – Presidente Amendola – Relatore Cirillo
Fatti di causa
1. An. Ma. Ma. convenne in giudizio il Comune di ……., davanti al Tribunale della medesima città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei patiti, ai sensi dell’art. 2051 ovvero dell’art. 2043 cod. civ., in conseguenza del sinistro avvenuto in Piazza della Repubblica in ….., quando ella, scendendo il terzo gradino del marciapiede, era caduta a terra riportando danni personali.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda e condannò la parte attrice al pagamento delle spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 19 novembre 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona ricorre An. Ma. Ma. con atto affidato a quattro motivi.
Resiste il Comune di Ancona con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., sostenendo che la Corte di merito avrebbe fondato la decisione su di una valutazione errata ed incompleta dei fatti di causa; nella specie, infatti, non si trattava di una buca stradale, ma di un’ingannevole alterazione del terreno di cui la vittima si era potuta accorgere solo nel momento in cui aveva perso l’equilibrio.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., sostenendo che l’art. 2051 cit. individua una forma di responsabilità oggettiva che può essere esclusa solo dalla dimostrazione del caso fortuito; nel caso di specie, sarebbe stata dimostrata l’esistenza dell’anomalia stradale, mentre il Comune non avrebbe provato l’esistenza del fortuito, poiché il comportamento della ricorrente non era caratterizzato da eccezionalità, imprevedibilità ed evitabilità.
3. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente in considerazione dell’identità delle censure di violazione di legge contestate, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.
3.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1. febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno.
3.2. La Corte d’appello ha fatto buon governo di tale insegnamento. La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha affermato che la causa del sinistro era da ricondurre, nella specie, al caso fortuito consistente nel comportamento imprudente della danneggiata, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso. La presenza dell’avvallamento pericoloso, infatti, era ben visibile in considerazione sia dell’ora diurna in cui la caduta era avvenuta, sia delle caratteristiche intrinseche dello stesso. Dalle foto prodotte e dalla deposizione testimoniale del vigile urbano escusso risultava, infatti, che, nonostante la presenza dei sampietrini, l’avvallamento era distinguibile senza problemi, avendo una profondità di circa 10 cm distribuita su di un piano di calpestio pari a circa cm 50 per cm. 150; per cui anche dall’alto della scalinata la caduta sarebbe stata evitabile ove la danneggiata non avesse tenuto un comportamento imprudente.
La Corte di merito ha poi aggiunto che la prova del fortuito non costituiva materia di un’eccezione in senso proprio, per cui la relativa deduzione non incorreva nelle preclusioni dell’art. 167 cod. proc. civ., essendo quindi irrilevante la tardiva costituzione del Comune in primo grado.
Quanto alla domanda di cui all’art. 2043 cod. civ., la sentenza ha ritenuto che il rigetto della stessa fosse da considerare implicito sulla base della ricostruzione del rilievo causale assorbente del comportamento della vittima. Né alcun rilievo poteva essere attribuito alla mancata ammissione della prova per testi richiesta dalla danneggiata, avendo essa ad oggetto profili o non ammissibili o comunque irrilevanti.
3.3. A fronte di tale motivazione, le censure di cui al primo e secondo motivo si rivelano inammissibili, in parte perché dimostrano di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata ed in parte perché si risolvono nell’indebita sollecitazione di questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.
Ma comunque sia, anche trascurando i rilievi di inammissibilità, le prospettate violazioni di legge non sussistono, perché la sentenza impugnata ha fatta corretta applicazione delle disposizioni impugnate.
La prova del fortuito è stata dedotta dalla Corte di merito in base alle stesse prove prodotte dalla danneggiata; e d’altronde, una volta affermato il carattere assorbente del comportamento colposo di quest’ultima, la domanda era da ritenere infondata anche ai sensi dell’art. 2043 del codice civile.
4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 118 cod. proc. civ. per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, costituiti dalla mancata ammissione della c.t.u. e della prova per testi richieste in sede di merito.
4.1. Il motivo è inammissibile, dato che la parte ricorrente da un lato non tiene conto delle ragioni per le quali la sentenza impugnata ha rigettato tali richieste; dall’altro, non fornisce indicazioni precise, anche in punto di autosufficienza, tali da dimostrare la decisività delle prove non ammesse.
5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., motivazione inesistente in ordine alle ragioni per le quali la ricorrente è stata condannata al pagamento del doppio del contributo unificato.
5.1. Il motivo è infondato.
La condanna al pagamento del doppio del contributo unificato è imposta dalla legge, sussistendone le condizioni, come conseguenza della declaratoria di inammissibilità o di infondatezza dell’impugnazione, per cui la Corte d’appello non era tenuta ad alcuna motivazione sul punto (v. l’ordinanza 25 maggio 2018, n. 13055).
6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 26 gennaio 2021.
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