Il dirigente medico responsabile del servizio di interruzione delle gravidanze è stato condannato per aver costretto, con minaccia implicita, alcune pazienti, recatesi presso l’ospedale per interrompere volontariamente la gravidanza entro i primi novanta giorni del suo inizio, a promettergli indebitamente del denaro e subordinando al pagamento delle somme l’effettuazione tempestiva dell’intervento, pur trattandosi di prestazione totalmente a carico del servizio sanitario nazionale.
Secondo i giudici, le pazienti – consapevoli che sarebbe stato loro diritto accedere alla procedura di interruzione volontaria della gravidanza entro il termine previsto – si erano trovate di fronte alla alternativa fra rischiare di non potere più eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza (con la probabile conseguenza di dovere concludere una gravidanza indesiderata) o versare il denaro ai medici, sicché agirono consapevolmente in una condizione di debolezza psicologica, per evitare un danno avvertito come ingiusto e non per conseguire un indebito vantaggio. Le donne, secondo i giudici, non mirarono a conseguire un indebito vantaggio, perché comunque la prestazione era dovuta e totale carico del servizio sanitario nazionale.
La Corte di cassazione ha precisato che commette il reato di concussione il medico preposto al pubblico servizio sanitario, dalle cui prestazioni dipende la conservazione di beni psicofisici fondamentali, che chieda compensi indebiti; si è precisato che l’abuso costrittivo del pubblico agente non deve necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite, potendo attuarsi anche mediante una minaccia implicita o allusiva, purché idonea a condizionare le scelte del paziente.
Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto Penale – foro di Pavia
Cass. pen., sez. VI, ud. 6 luglio 2022 (dep. 27 luglio 2022), n. 29944 – Presidente e Relatore Costanzo
1. Con sentenza del 5 aprile 2017 il Tribunale di Foggia ha condannato:
– B.O. ex art. 317 c.p. per avere, quale dirigente medico responsabile del servizio di interruzione delle gravidanze dell’ospedale (omissis) costretto, con minaccia implicita, le persone indicate nel capo A delle imputazioni, recatesi presso l’ospedale per interrompere volontariamente la gravidanza entro i primi novanta giorni del suo inizio, a promettergli indebitamente del denaro e subordinando al pagamento delle somme l’effettuazione tempestiva dell’intervento, pur trattandosi di prestazione totalmente a carico del servizio sanitario nazionale (capo A);
– B.O. e Be.Gi., direttore della unità operativa di anestesia e rianimazione dello stesso ospedale, ex artt. 110 e 317 c.p., art. 81 c.p., comma 2, per avere realizzato la stessa condotta descritta nel capo A nei confronti delle persone indicate nel capo B delle imputazioni;
– B.O. L. 22 maggio 1978, n. 194, ex art. 19, comma 5, per avere interrotto la gravidanza di una minorenne senza rispettare le modalità prescritte dall’art. 12, comma 2, della stessa legge (capo C) e ex art. 479 c.p., per avere falsamente attestato che l’incontro con una paziente in stato di gravidanza, per raccoglierne la volontà con l’invito a soprassedere per sette giorni, era avvenuto il 21 febbraio 2014 (mentre in realtà si era verificato il 26 febbraio 2014 e la gravidanza era stata interrotta il 28 febbraio 2014).
La sentenza n. 2749 del 13 luglio 2021 della Corte di appello di Bari ha confermato la condanna di B. per i reati di cui ai capi C e D, ma – riqualificando ex art. 319 quater c.p., le condotte descritte nei capi A e B – ha rideterminato le pene principali e revocato le pene accessorie.
2. Nei ricorsi presentati dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari e, per altro verso, dai difensori degli imputati si chiede l’annullamento della sentenza per i motivi che vengono riportati nel seguito nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173 disp. att. c.p.p., comma).
2.1. Nel ricorso della Procura generale presso la Corte di appello di Bari si deducono violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, travisamento della prova e erronea applicazione dell’art. 319 quater c.p. In particolare si osserva che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, B. compì una costrizione sulle pazienti, come si desume dalle dichiarazioni di alcune di queste e del padre di una di loro, oltre che dalle videoriprese che indicano come l’imputato – unico medico non obiettore dell’ospedale di …… – pretese che gli si elargisse denaro per effettuare il suo intervento o, comunque, per effettuarlo in tempi rapidi, mentre non emerge che le pazienti cercassero di ottenere un’anticipazione dei tempi di esecuzione dell’intervento. Su queste basi conclude che la Corte di appello non ha espresso una motivazione rafforzata a sostegno della sua conclusione, divergente da quella del Tribunale, secondo cui le pazienti avrebbero aderito alle richieste dell’imputato perché aspiravano a un intervento più rapido.
2.2. Nel ricorso presentato dal difensore di B. si deducono:
2.2.1. violazione della legge e vizio della motivazione nel disconoscere che l’attività infra moenia svolta da B. mancava del requisito della autoritarietà e che egli si fece pagare una attività che avrebbe dovuto essere gratuita, se svolta da una struttura pubblica, ma che fu chiamato a svolgere quale privato, come previsto dalla L. n. 194 del 1978, art. 4, e, quindi, a pagamento;
2.2.2. violazione della legge e vizio della motivazione circa la prova che il denaro ricevuto fu il prezzo dell’intervento di interruzione della gravidanza, erroneamente valorizzando la reiterazione a pagamento di esami già effettuati, ma non considerando che l’imputato richiese solo il corrispettivo per l’ecografia e per il certificato e trascurando il contenuto delle telefonate in cui egli (inconsapevole di essere intercettato) spiega che l’attività intra moenia da lui svolta era a pagamento, nonché le dichiarazioni dei pazienti che indicano come i pagamenti richiesti riguardassero le attività (non gratuite) svolte in regime libero professionale e erano ricevuti da B. per evitare che le pazienti facessero la fila davanti alla cassa ospedaliera, affetta da disservizi da lui stesso segnalati alla direzione sanitaria (come risulta dalla documentazione prodotta);
2.2.3. violazione degli artt. 317 e 319 quater c.p., e vizio della motivazione per avere qualificato come vittime soggetti che invece furono concorrenti nel reato ex art. 319 quater c.p.;
2.2.4. violazione degli artt. 317 e 319 quater c.p., e vizio della motivazione perché, le pazienti, riqualificate come corree ex art. 319 quater c.p., avrebbero dovuto essere sentite ex art. 63 c.p.p.;
2.2.5. violazione di legge e vizio della motivazione nel ravvisare il reato pur riconoscendo che il denaro percepito da B. era a lui dovuto come retribuzione di prestazione professionale intra moenia;
2.2.6. violazione della legge perché B. chiarì sempre che l’attività da retribuirgli era quella preliminare alla interruzione volontaria della gravidanza (l’unica attività gratuita, sicché ex art. 47 c.p., va escluso il dolo della fattispecie;
2.2.7. violazione dell’art. 323 bis c.p., e vizio della motivazione per aver confermato l’esclusione della attenuante pur riqualificando il fatto ex art. 319 quater, con la stessa motivazione, adottata dal Tribunale, ossia la reiterazione delle condotte in contrasto con la previsione dell’art. 81 c.p., comma 2, trascurando la tenuità del danno procurato e l’incensuratezza dell’imputato;
2.2.8. violazione dell’art. 64 c.p., n. 4, nel dichiarare inammissibile la richiesta dall’appellante perché avanzata soltanto con la memoria difensiva depositata in sede di conclusioni, nonostante che fosse implicita già nel motivo di appello concernente l’art. 323 bis c.p., la cui applicazione ha fra suoi presupposti in fatto anche l’entità del danno;
2.2.9. violazione della legge perché sulla responsabilità per il capo C il Tribunale ha del tutto omesso di motivare, con conseguente nullità della sentenza ex art. 604 c.p., mentre la Corte di appello gli è sostituita nel motivare così privando l’imputato di un grado di giudizio;
2.2.10. violazione di legge e vizio della motivazione per avere riconosciuto la responsabilità per il reato di cui al capo D non dando credito alle dichiarazioni della paziente circa la data dell’incontro con B. e preferendo affidarsi alla data risultante dal video, nonostante che questa potrebbe essere alterata, e trascurando che quello che il medico rivolge alla paziente è soltanto un invito, che la paziente può disattendere, a soprassedere per 7 giorni dall’abortire, per cui nella fattispecie verrebbe meno l’offensività della condotta;
2.2.11. violazione della legge e vizio della motivazione nel non giustificare specificamente la quantificazione degli aumenti per la continuazione del reato.
2.3. Nel ricorso presentato dal difensore di Be. si deducono:
2.3.1. violazione dell’art. 319 bis c.p., e mancanza di motivazione nel trascurare che le pazienti, non essendosi rivolte direttamente al consultorio, erano tenute al pagamento della visita ginecologica, dell’ecografia e della compilazione del certificato seppure con modalità diverse (cioè con il pagamento del ticket alla cassa dell’ospedale) da quelle seguite e che, in ogni caso, l’anestesista resta estraneo alla fase preparatoria dell’intervento, sicché non interagisce con le pazienti;
2.3.2. violazione dell’art. 110 c.p., e vizio della motivazione per non avere chiarito, nè tantomeno provato, in cosa sarebbe consistito il concorso nel reato da parte di Be. limitandosi a considerare che B., in assenza di Be., disse alle pazienti di versare 50 Euro direttamente (peraltro soltanto in sei occasioni) all’anestesista;
2.3.3. violazione dell’art. 640 c.p., e vizio della motivazione nel non riqualificare la condotta come truffa aggravata perché Be. non avrebbe potuto rifiutarsi di partecipare all’intervento per l’interruzione della gravidanza sicché quel che sarebbe stato loro prospettato era soltanto un pericolo immaginario;
2.3.4. violazione della legge e vizio della motivazione nel disconoscere, nonostante la modestia (300 Euro) della somma complessivamente intascata da Be. e la sua scarsa partecipazione al reato, l’attenuante ex art. 62 c.p., n. 4, o quella ex art. 323 bis c.p., e comunque la minima importanza (art. 114 c.p.) del concorso di Be. nel reato data la marginalità del suo ruolo.
Considerato in diritto
1. Il ricorso della Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari è fondato.
1.1. Dalle dichiarazioni del dirigente medico dell’ospedale di ……. e degli altri testi richiamate nella sentenza di primo grado (p. 3-4) emerge che il rilascio di certificati e tutti gli esami propedeutici alla interruzione volontaria di gravidanza che vengono compiuti in ospedale e con la strumentazione della struttura sanitaria sono gratuiti perché a carico del servizio sanitario nazionale, mentre se svolti dal medico intra moenia (negli orari prestabiliti e al di fuori dell’orario di servizio) sono a pagamento ma il pagamento deve avvenire con i bollettini di pagamento alla cassa-ticket e non direttamente al medico.
Il Tribunale ha ravvisato nei comportamenti descritti nei capi A e B delle imputazioni delle condotte concussive, osservando che le pazienti – consapevoli che sarebbe stato loro diritto accedere alla procedura di interruzione volontaria della gravidanza entro il termine previsto – si erano trovate di fronte alla alternativa fra rischiare di non potere più eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza (con la probabile conseguenza di dovere concludere una gravidanza indesiderata) o versare il denaro ai medici, sicché agirono consapevolmente in una condizione di debolezza psicologica, per evitare un danno avvertito come ingiusto e non per conseguire un indebito vantaggio (p. 16-17). In altri termini, secondo il Tribunale, non mirarono a conseguire un indebito vantaggio, perché comunque la prestazione era dovuta e totale carico del servizio sanitario nazionale, ma cedettero alla prevaricazione degli imputati.
Nella sentenza del Tribunale si rileva con riferimento alle condotte ascritte all’imputato B. al capo A che questi chiese al padre della paziente S.A., che gli aveva portato la certificazione redatta dal ginecologo di fiducia l’ultimo giorno utile per adottare la procedura semplificata per l’interruzione della gravidanza, 100 Euro (50 per sé e 50 per l’anestesista) che gli furono versati dalla madre della paziente, rifiutandosi poi egli di rilasciare una fattura (p. 4-5); analogamente, chiese 100 Euro (50 per sé e 50 per l’anestesista), per effettuare l’interruzione volontaria della gravidanza, senza fornire prestazioni sanitarie alla paziente L.Y. (p. 5) e chiese e ricevette 100 Euro dalla paziente M.M. (p. 7). Analoghe richieste e ricezioni di somme riguardarono le pazienti T. (50 Euro, per anticipare l’intervento, p. 12), D.R. e D. (per le quali approntò delle certificazioni ma chiedendo loro che versassero altre 50 Euro a Be. al momento dell’intervento) e S.B. (p. 13).
Con riferimento alle condotte ascritte sia a B. sia a Be. nel capo B si rileva che tutte le pazienti, richiestene da B., versarono 50 Euro a B. e, il giorno dell’intervento, 50 Euro a Be. .
1.2. La sentenza della Corte di appello non ha adottato una diversa ricostruzione dei fatti ma ha considerato che per la maggior parte della pazienti non vi era rischio di non interrompere la gravidanza nei termini di legge, perché le donne si erano rivolte a B. ben prima del decorso della dodicesima settimana e che le poche gestanti che gli si presentarono in prossimità della scadenza del termine si posero volontariamente in tale condizione, ma, in ogni caso, l’intervento sarebbe stato comunque loro garantito poiché non risulta che vi siano stati presso l’ospedale di …… casi di diniego della interruzione volontaria della gravidanza per il decorso dei 90 giorni di gestazione. Su queste basi, ha concluso che alle pazienti residuava un margine di scelta, sicché poterono determinarsi optando per la soluzione per loro più conveniente e, quindi, nella prospettiva di conseguire un tornaconto personale (p. 6).
1.3. Deve, tuttavia, registrarsi che la sentenza della Corte di appello non si è confrontata puntualmente con la ricostruzione dei fatti elaborata dal Tribunale e, in particolare, con quelle parti in cui si precisa che B. chiese del tutto ingiustificatamente somme di denaro per prestazioni intra moenia non effettuate, o per compiere l’intervento di interruzione della gravidanza (non importa se in prossimità o meno della scadenza del termine di novanta giorni o anticipatamente); oppure chiese che delle somme fossero versate all’anestesista Be. al momento dell’intervento senza alcuna giustificazione.
1.4. In tutti questi casi si è trattato di richieste illecite in occasione dello svolgimento di attività necessarie per attuare il diritto alla interruzione volontaria della gravidanza nei termini fissati della legge, attività connessa all’esercizio del diritto alla salute e alla sua realizzazione nell’ambito di prestazioni che il servizio sanitario nazionale deve fornire gratuitamente (Sez. 6, n. 5344 del 15 novembre 2016, Cocivera, non mass.; Sez. 6, n. 13411 del 5 marzo 201.9, Cardia, Rv. 275463).
Nella sostanza le pazienti, che erano in una condizione di difficoltà psicofisica, furono condotte a versare delle somme al di fuori delle prestazioni intra moenia al ginecologo o all’anestesista che erano tenuti a effettuare l’intervento di interruzione del tutto gratuitamente (oltretutto erano gli unici a effettuarlo in quell’ambito ospedaliero). Nè può sostenersi che le pazienti mirassero a ottenere qualcosa che non fosse loro dovuto (gratuitamente) nella condizione in cui si trovavano.
In questo quadro, gli argomenti sviluppati dalla Corte di appello non risultano conducenti. Il fatto che la maggior parte delle pazienti (il che peraltro implicita che per la residua parte la situazione fosse diversa) non corresse, al momento di rivolgersi a B. , il rischio di non potere interrompere la gravidanza entro i novanta giorni previsti dalla legge può avere attenuato la forza costrittiva della condotta dell’imputato ma non l’ha elisa presentandosi comunque si presenta una situazione atta a porre le pazienti in una condizione di seria difficoltà, se non altro psicologica, accresciuta materialmente dalla circostanza che i due imputati erano gli unici sanitari non obiettori di coscienza nell’ospedale. Per altro verso, l’argomento per il quale non emerge che vi siano stati casi di diniego dell’interruzione della gravidanza evidenzia un dato che non incide sulla ricostruzione e sulla valutazione delle condotte accertate.
Può, pertanto, ribadirsi che di fronte al medico preposto al pubblico servizio sanitario, dalle cui prestazioni dipende la conservazione di beni psicofisici fondamentali, anche la sola richiesta di compensi indebiti da parte del sanitario ha una efficacia concussiva (Sez. 6, n. 5809 del 29/03/1995, Azzano, Rv. 201684); nè l’abuso costrittivo del pubblico agente deve necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite, potendo attuarsi anche mediante una minaccia implicita o allusiva, purché idonea a condizionare le scelte del paziente (Sez. 6, n. 33653 del 14/09/2020, Bonalumi, Rv. 279924).
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio relativamente ai capi ‘À e ‘B delle imputazioni.
Alla luce del principio di diritto sopra enunciato le condotte indicate nei capi A e B e riconducibili allo schema che precede vanno riqualificate ex art. 317 c.p. Tuttavia, in questa prospettiva, il Giudice del rinvio dovrà: puntualmente valutare, in particolare, se gli elementi probatori acquisiti o acquisibili consentano di qualificare tutte le venti condotte indicate nel capo A ex art. 317 c.p., o se del caso, sotto altra fattispecie incriminatrice, perché al riguardo le sentenze sinora emesse dai Giudici di merito non hanno svolto una disamina completa.
2. Il ricorso di B. è manifestamente infondato.
2.1. Relativamente al primo motivo, deve osservarsi che correttamente la Corte di appello ha richiamato il principio secondo cui sussiste la qualifica di pubblico agente in capo al medico in servizio presso un ospedale pubblico anche quando la condotta criminosa è stata realizzata, abusando della qualifica, nello svolgimento della libera professione e nel proprio studio privato (Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Cardia, Rv. 275463). Con specifico riferimento alla fattispecie al suo esame, ha rimarcato che le pazienti si rivolsero al medico – che era il dirigente responsabile del servizio di interruzioni volontarie della gravidanza e l’unico non obiettore dell’ospedale di ……. – proprio per la funzione di assistenza prevista dalla L. n. 194 del 1978, e che peraltro molte delle condotte si realizzarono durante l’orario di servizio, sicché vi fu una stretta connessione fra le prestazioni offerte e la funzione pubblica esercitata.
2.2. Relativamente al secondo motivo deve rilevarsi che la Corte di appello non ha escluso che soltanto l’intervento per l’interruzione volontaria della gravidanza fosse gratuito, però ha valutato che il pagamento delle somme richieste fu collegato non alle attività propedeutiche all’intervento ma proprio all’intervento (benché gratuito) evidenziando che le somme furono richieste anche alle pazienti che si recavano dall’imputato già provviste di ecografia e di certificato di gravidanza e che più volte B. si fece consegnare 50 Euro il giorno programmato per l’intervento precisando, in diverse occasioni, che gli altri 50 Euro andavano versati all’anestesista (Be. ), nonostante che anche la prestazione dell’altro imputato fosse a carico del servizio sanitario nazionale. Inoltre, ha evidenziato che i pagamenti vennero effettuati direttamente a B. e non presso la cassa dell’ospedale, senza il rilascio di fattura e senza accreditarli alla cassa dell’ospedale, sicché non possono ascriversi a attività intra moenia (p. 35).
A questo si aggiunga quanto evidenziato nella sentenza di primo grado e sopra richiamato sub 1.1.
2.3. Per quel che riguarda il terzo, il quinto e il sesto dei motivi di ricorso valgono le conclusioni raggiunte rispetto alla qualificazione giuridica delle condotte sub. 1.
2.4. Relativamente al quarto motivo di ricorso, correttamente la Corte di appello ha escluso la inutilizzabilità delle dichiarazioni delle pazienti per essersi queste poi rivelate concorrenti nel reato, sia perché si è trattato di una riqualificazione ex post, sia perché, comunque, le prove delle condotte dell’imputato si desumono già dal cospicuo materiale costituto dalle videoriprese, dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di persone che furono presenti alle richieste esplicite di B. In ogni caso, deve ribadirsi che l’inutilizzabilità assoluta, ex art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni rese da soggetti i quali fin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di persone sottoposte a indagini, richiede che a carico di tali soggetti risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità. Ne consegue che tale condizione non può automaticamente desumersi dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente produttive di formulazioni di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentassero connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417; Sez. 1, n. 48861 del 11/07/2018, Mero, Rv. 280666; Sez. 6, n. 33084 del 12/06/2003, La Vista, Rv. 226533)
2.5. Relativamente al settimo motivo di ricorso, deve considerarsi che la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre se il reato, valutato nella sua globalità, presenta una gravità contenuta, dovendosi a tal fine valutare non solo l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento dell’agente o del lucro conseguito e dell’evento causato (Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019, Fundarò, Rv. 276280; Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091; Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Fundarò, Rv. 259501; Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501). Nella linea di questo principio, la Corte di appello ha adeguatamente chiarito l’esercizio del suo potere discrezionale evidenziando che alla valutazione della entità (contenuta in 1550 Euro) del lucro si giustappone quella della rilevanza dei pregnanti interessi in gioco, del numero consistente di pazienti rivoltesi all’imputato e del manifestarsi della sua reiterazione delle condotte.
2.5. Relativamente all”ottavo motivo, deve ribadirsi che è inammissibile
il ricorso per cassazione proposto per il mancato esercizio del potere del giudice d’appello di applicare anche d’ufficio una o più circostanze attenuanti, ex art. 597 c.p.p., comma 5, se del loro riconoscimento non è stata fatta specifica richiesta nel giudizio di secondo grado (Sez. 7, n. 16746 del 13/01/2015, Ciaccia, Rv. 263361; Sez. 6, n. 6880 del 27/01/2010, Mezini, Rv. 246139; Sez. 6, n. 7960 del 26/01/2004, Calluso Rv. 228468).
2.6. Relativamente al nono motivo di ricorso, si rileva che effettivamente il Tribunale non ha espresso motivazione sul capo C. Tuttavia, la mancanza di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei suoi poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118). Inoltre, manifestamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 604 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice di appello, in caso di mancanza grafica della motivazione della sentenza appellata, ne dichiari la nullità e trasmetta gli atti al giudice di primo grado, perché non vi è contrasto con l’art. 111 Cost., comma 2, che, limitandosi a stabilire che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, demanda alla legge ordinaria la disciplina delle conseguenze dell’inosservanza di tale prescrizione, nè con l’art. 24 Cost., posto che la garanzia del doppio grado di giurisdizione di merito non ha copertura costituzionale e, in ogni caso, va intesa nel senso che deve essere data la possibilità di sottoporre tali questioni a due giudici di diversa istanza, anche se il primo non le abbia decise tutte (Sez. 5, n. 341 del 18/11/2021, dep. 2022, Pirrottina, Rv. 282381).
Nel caso in esame la Corte di appello ha correttamente argomentato che l’intervento di interruzione della gravidanza fu effettuato quando la paziente era ancora minorenne e che l’averla il padre accompagnata dal ginecologo non basta a integrare il consenso richiesto dalla L. n. 194 del 1978, art. 12, necessitando l’assenso di entrambi i genitori (o eventualmente del tutore o, in sostituzione, l’autorizzazione del giudice tutelare).
2.7. Relativamente al decimo motivo di ricorso deve rilevarsi che senza incorrere in manifesta illogicità la Corte di appello ha valutato che, stante l’incertezza del ricordo della paziente circa il giorno (l’unico) in cui si recò da B. , occorre riferirsi alla data (26 febbraio 2014) riportata dai video (della cui esattezza non emergono ragioni di dubitare)” così risultando che l’intervento fu eseguito (il 28 febbraio 2014) dopo solo due giorni dalla visita con conseguente falsità della attestazione che, invece, la colloca al 21 febbraio 2014. Nè la condotta non può ritenersi inoffensiva, perché nelle falsità in atti, l’inoffensività della falsa attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) va valutata in relazione alla funzione documentale dell’atto e non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Brisciano, Rv. 280453).
2.8. Relativamente all’undicesimo motivo di ricorso, va registrato che la
Corte di appello ha individuato gli aumenti per la continuazione relativamente ai capì B, C e D e non ha mancato di giustificarli con la formula “congrui, in relazione alla consistenza criminosa dei fatti contestati” (mesi 4 di reclusione per il capo B e di mesi uno di reclusione per i capi C e D), che nella fattispecie risulta adeguata, Infatti, nel caso di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato più grave e stabilire la pena-base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satelliti: il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 c.p., e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269).
3. Il ricorso di Be. è manifestamente infondato.
3.1. Relativamente ai primi due motivi – che possono essere trattati
unitariamente – la Corte di appello ha argomentato sulla base di pertinenti massime di comune esperienza e senza incorrere in manifeste illogicità, che la prova della partecipazione di Be. alla condotta di B. deriva dal fatto che questi evidentemente con lui (unico anestesista non obiettore di coscienza) pattuì la somma (50 Euro) che le pazienti dovevano versare anche a Be. e che è incontestato che gli versarono al momento dell’intervento, rimarcando che la partecipazione di Be. era necessaria per ‘realizzare l’intervento, tanto più nei tempi brevi ai quali miravano le pazienti.
3.2. Relativamente al terzo motivo di ricorso la Corte di appello ha correttamente vantato che non emergono nella fattispecie artifici o raggiri che possano giustificare una qualificazione delle condotte ex art. 640 c.p., perché le pazienti furono consapevoli di non essere tenute a versare le somme loro richieste.
3.3. Relativamente al quarto (composito) motivo di ricorso, si rileva che nel negare la attenuante ex art. 323 bis c.p., la Corte di appello ha idoneamente richiamato l’argomentazione già espressa in relazione al concorrente imputato B., sicché può ripetersi quanto al riguardo prima espresso.
Circa il diniego della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, va considerato che questa presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé del bene oggetto della condotta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep. 2021, Di Giorgio, Rv. 280615; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241).
Ragionevolmente, infine, la Corte di appello ha escluso che l’apporto causale di Be. alla realizzazione dei reati sia stato irrilevante, valutando che il suo contribuito di unico anestesista non obiettore serviva per realizzare le condotte criminose.
4. Da quanto precede deriva la inammissibilità dei ricorsi di B. e Be. e anche la irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità di B. in ordine ai reati di cui ai capi C e D.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio a altra sezione della Corte di appello di Bari relativamente ai capi “A” e “B” delle imputazioni.
Dichiara inammissibili i ricorsi di B.O. e Be.Gi. e irrevocabile l’accertamento della responsabilità di B. in ordine ai reati di cui ai capi “C” e “D”.
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