Ad avviso dell’imputato, condannato per il reato di atti persecutori in danno della ex moglie, dalla fattispecie tipica difetterebbe l’evento di danno, in quanto le crisi di ansia e gli attacchi di panico riattivatisi nella donna non sarebbero stati in rapporto di derivazione causale con i suoi comportamenti.

La Corte di cassazione, però, precisa che era stato accertato l’evento del reato di atti persecutori non solo nella predetta riattivazione degli attacchi di panico di cui la vittima aveva sofferto in passato, ma anche il fondato timore per l’incolumità propria e dei familiari, alimentato nella parte offesa dalle minacce di morte rivolte dal deducente pure ai suoi genitori, i quali, avevano subito il danneggiamento della loro autovettura e dello zerbino (trovato bruciato) della loro abitazione.

Tali comportamenti si erano riverberati, altresì, sulle abitudini di vita della vittima, la quale, per proteggersi da eventuali aggressioni del marito, si era fatta accompagnare sul luogo di lavoro dal padre.

La Corte ha dunque richiamato la pacifica giurisprudenza secondo cui il reato di stalking è integrato anche da uno solo degli eventi alternativi indicati; pertanto, nel caso di specie, non contestata la sussistenza del fondato timore per l’incolumità propria e dei familiari e l’alterazione delle proprie abitudini di vita, la dedotta assenza di nesso causale tra la riacutizzazione dei disturbi che già affliggevano la vittima e le reiterate condotte poste in essere dall’imputato sono privi di decisività nell’escludere il reato di atti persecutori.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto Penale – foro di Pavia – avvocatoannalisagasparre@gmail.com

Cass. pen., sez. V, ud. 7 aprile 2022 (dep. 10 maggio 2022), n. 18455 – Presidente Palla – Relatore Scordamaglia

Ritenuto in fatto

1. L.V., tramite il difensore, ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma in data 20 aprile 2021, di conferma della sentenza che in primo grado l’aveva riconosciuto colpevole del delitto di atti persecutori in danno della coniuge M.G. e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno subito dalla vittima del reato, costituitasi parte civile.

1.1. Il primo motivo eccepisce la violazione del diritto di difesa, verificatosi perché, come evincibile dalla motivazione rassegnata a corredo delle statuizioni civile, che riportava l’inciso: “vedere se c’era parte civile”, la redazione della sentenza sarebbe stata ‘preconfezionata, tanto indiziando un convincimento del consigliere relatore formatosi prima della discussione orale, tale da costituire ragione di pregiudizio per la strategia difensiva.

1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 192 c.p.p., e il vizio di motivazione, essendo stati utilizzati a riscontro dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa fatti, riferiti dai testi escussi, non oggetto di imputazione (ad esempio i danneggiamenti subiti dai familiari della persona offesa) ed essendosi ascritta al deducente la paternità dei messaggi inviati alla M., tramite l’applicazione ‘(omissis)’, sulla base di ‘private credenze del giudice, neppure suffragate dalla certezza circa il tenore del loro contenuto.

1.3. Il terzo motivo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 612-bis c.p., e il vizio di motivazione, da travisamento delle prove dichiarative, posto che l’evento del delitto di atti persecutori contestato al deducente, ossia il riattivarsi delle crisi d’ansia e degli attacchi di panico di cui aveva sofferto in passato la parte offesa, non era in rapporto di derivazione causale con i suoi comportamenti, estrinsecatisi nell’invio di una serie di messaggi e di fotografi in un arco temporale di cinque giorni; in ogni caso, difettando l’evento del reato, i comportamenti descritti si sarebbero dovuti sussumere nel delitto di minaccia.

3. Con requisitoria in data 9 marzo 2022, rassegnata ai sensi del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020, e del D.L. n. 105 del 2021, artt. 1 e 7, il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dottor Luigi Giordano, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

4. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 21 marzo 2022, il difensore della parte civile ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso e ha chiesto la rifusione delle spese sostenute dalla parte nel grado.

5. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 1° aprile 2022, il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore Generale chiedendo che siano disattese.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è generico e manifestamente infondato.

Quand’anche vero che la redazione dei motivi a sostegno della decisione impugnata avesse preceduto la discussione orale del gravame, il ricorrente non ha illustrato quale sarebbe lo specifico e reale pregiudizio dei diritti di difesa che gliene è venuto.

D’altro canto, è già stato affermato da questa Corte che non dà luogo neppure a ricusazione del giudice, l’avere, questi, approntato uno schema o appunto di decisione quale ipotesi di studio sul modo in cui potranno essere risolte le questioni giuridiche sub iudice, ancorché dalla stessa sia desumibile una futura scelta decisoria: trattasi, infatti, di attività, annoverata tra quelle preparatorie non preclusa, perché è scevra da insuperabile preconcetto e non implica un sospetto di parzialità (Sez. 5, n. 3751 del 24/09/1989 – dep. 27/02/1990, Rv. 183488).

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato e non consentito in questa sede.

2.1. Ribadito che le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214), va riconosciuto che a tale indicazione ermeneutica si è, senz’altro, attenuto il giudice censurato; ha, infatti, diffusamente e plausibilmente dato conto, con argomentazione priva di illogicità evidenti, della verifica cui sono state sottoposte, anche dal primo giudice, le dichiarazioni della persona offesa, all’esito stimate intrinsecamente attendibili e, comunque, estrinsecamente riscontrate da una moltitudine di convergenti elementi di riscontro di varia natura (dichiarativa, documentale e logica). Devesi, al riguardo, rammentare che la giurisprudenza di legittimità, nel delineare la nozione di elemento di riscontro estrinseco – nella materia propria della chiamata di correità -, ha chiarito che esso si identifica in un dato certo che, pur non avendo la capacità di dimostrare la veridicità del fatto oggetto di dimostrazione, sia tuttavia idoneo ad offrire garanzie obiettive e certe circa l’attendibilità di chi lo ha riferito. Tale dato non deve necessariamente concernere il “thema probandum”, in quanto esso deve valere solo a confermare “ab estrinseco” l’attendibilità della propalazione, dopo che questa sia stata attentamente e positivamente verificata nell’intrinseco: dunque, poiché la legge non determina nè la specie, nè la qualità dell’elemento che deve supportare o sostenere l’attendibilità estrinseca della chiamata, lo stesso può essere della più varia natura e, quindi, anche di carattere logico. (Sez. 4, n. 9509 del 11/05/1993, Rv. 195319).

2.2. La riscontrata attendibilità del racconto della M. rende priva di pregio la deduzione circa la mancanza di prova certa quanto alla riconducibilità al L. dei messaggi ricevuti dalla stessa. Una volta ritenuto affidabile quanto da lei riferito, ad esempio che il coniuge imputato “si fregiasse del suo lavoro presso il Vaticano” (pag. 3, della sentenza impugnata), il riferimento contenuto nei suddetti messaggi a tale peculiare circostanza e ad altri fatti denotanti una specifica conoscenza della vita familiare (l’accudimento dei gatti ospitati nella casa coniugale) certifica la loro provenienza dal deducente. Gli ulteriori rilievi in ordine alla trasposizione del contenuto dei messaggi di cui si discute sono, poi, generici, in quanto affidati a mere valutazioni, e non consentiti in questa sede perché protesi a sollecitare una revisione degli apprezzamenti sul tema dedotto compiuti dai giudici di merito.

3. Il terzo motivo è aspecifico.

È stato contestato e ritenuto come evento del reato di atti persecutori ascritto all’imputato non solo “la riattivazione degli attacchi di panico”, di cui la M. aveva sofferto nel passato, sub specie di grave e perdurante stato d’ansia, ma anche il fondato timore per l’incolumità propria e dei familiari, alimentato nella parte offesa dalle minacce di morte rivolte dal deducente pure ai suoi genitori, i quali, tra l’altro, avevano subito il danneggiamento della loro autovettura e dello zerbino (trovato bruciato) posto all’ingresso della loro abitazione: comportamenti, questi, che si erano riverberati, altresì, sulle abitudini di vita della M. , la quale, per proteggersi da eventuali aggressioni del marito, si era fatta accompagnare sul luogo di lavoro dal padre.

Ne viene che, poiché per giurisprudenza pacifica di questa Corte il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo (Sez. 5, n. 29872 del 19/05/2011, Rv. 250399), una volta non contestata la riconosciuta sussistenza del fondato timore della vittima per l’incolumità propria e dei familiari e l’alterazione delle proprie abitudini di vita, le deduzioni circa l’assenza di nesso di derivazione causale tra la riacutizzazione dei disturbi d’ansia che già affliggevano la persona offesa e le reiterate condotte di minaccia e di molestia del L. sono prive di decisività. I rilievi, infine, circa il numero di tali condotte e il loro dispiegarsi nel tempo, in rapporto alla loro idoneità a determinare l’accertato turbamento esistenziale della M. , sono estranei al perimetro del presente sindacato di legittimità, perché riproduttivi di censure di merito già congruamente esaminate e disattese nella sede loro propria.

4. Segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.

In ragione della peculiarità della materia e dei rapporti tra le parti, è d’obbligo disporre ai sensi del D.Lgs. n.196 del 30 giugno 2003, art. 52 – l’oscuramento, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


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