La sentenza si segnala per l’ottima ricostruzione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Nel caso concreto si trattava di un soggetto che aveva iniziato a manifestare un comportamento improntato alla prodigalità, con abituale larghezza nello spendere e grave dispersione del patrimonio.

L’uomo, però, non era affetto da patologie psichiche e riteneva di non necessitare di aiuti.

La Corte di cassazione, dopo una dotta ricostruzione dell’istituto e la valorizzazione degli aspetti di elasticità rispetto alle concrete esigenze del soggetto beneficiario, precisa che l’amministrazione di sostegno può pronunciarsi anche in presenza dei presupposti che legittimerebbero l’interdizione o l’inabilitazione, quindi anche con riguardo alla prodigalità.

La prodigalità è stata definita come un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare in maniera eccessiva ed esorbitante rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro che configura autonoma causa di inabilitazione, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi.

I giudici precisano che la prodigalità di per sé non costituisce necessariamente espressione di una patologia psichica o psichiatrica e può non essere basata su una constatazione di alterazione delle facoltà mentali del beneficiando attestata da medici, ma su concrete condotte tali da porlo a rischio di indigenza.

La prova della prodigalità può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi nel loro insieme.

La Corte, poi, conclude evidenziando che se una persona è libera di disporre del proprio patrimonio, anche in misura larga e ampia, non può però ridursi nella condizione in cui, non solo non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà già posti a suo carico, ma finanche quelli che egli in favore della propria persona, altrimenti costretta a far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico da richiedersi a dispetto delle proprie sostanze capacità di vita dignitosa. In sostanza, la collettività non può farsi carico dell’eccesso di prodigalità di una persona che con le sue sostanze ha di che vivere e dignitosamente.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – avvocatoannalisagasparre@gmail.com

Cass. civ., sez. I, ord., 28 dicembre 2023, n. 36176 – Presidente Genovese – Relatore Tricomi

Rilevato che:

1.- W.M. , moglie separata consensualmente da D.P. e titolare di assegno di mantenimento, chiese al Giudice Tutelare del Tribunale di Ferrara e ottenne la nomina di amministratore di sostegno per il marito D.P., avendo dedotto che questi aveva iniziato a manifestare un comportamento improntato alla prodigalità, con abituale larghezza nello spendere, rischiando eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socioeconomiche e non riconoscendo più alcun valore oggettivamente attribuibile al denaro, tanto che detto comportamento aveva comportato, nel periodo (         ), una dispersione patrimoniale di circa 512.000,00 Euro.

Il provvedimento in data (       ), con cui il Giudice Tutelare aveva proceduto alla nomina dell’amministratore di sostegno, è stato integralmente riformato dalla Corte di appello di Bologna che ha respinto la domanda di apertura dell’amministrazione di sostegno ed ha compensato le spese di lite.

W.M. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto della Corte di merito con cinque mezzi.

D.P. è rimasto intimato.

È stata disposta la trattazione camerale.

Considerato che:

2.- Il ricorso è svolto in cinque motivi:

I) Con il primo si denuncia l’omesso esame circa fatti decisivi del giudizio riguardanti la prodigalità di D.P., emergenti in particolare dalle dichiarazioni del fratello D.A. all’udienza del (       ) nonché dalla relazione in data (      ) e dall’istanza in data (        ) dell’amministratore di sostegno.

II) Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame circa fatti decisivi del giudizio riguardanti la relazione extraconiugale di D.P. e quindi la sua prodigalità, emergenti in particolare dai messaggi whatsapp del marito alla moglie nel periodo (          ) e dalla relazione in data (       ) dell’amministratore di sostegno.

III) Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa fatti decisivi del giudizio riguardanti la soggezione di D.P. all’influenza di terzi e quindi la sua prodigalità, emergenti in particolare dalla relazione del (         ) e dall’istanza del (          ) dell’amministratore di sostegno.

IV) Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame circa fatti decisivi del giudizio riguardanti la consistenza del patrimonio residuo di D.P. e quindi la sua prodigalità, emergenti in particolare dalla relazione del (        ) e dall’istanza del (        ) dell’amministratore di sostegno, dalle dichiarazioni di D.P. all’udienza del (        ), dalle dichiarazioni di D.P. al CTU Dott. F. e dalla perizia contabile della Dott.ssa Fi. .

La ricorrente, nello svolgere la censura, ha prospettato che “l’affermazione del D. al Dott. F. di non aver nulla da nascondere confligge anche con quanto risulta dalla perizia contabile della Dott.ssa Fi., la quale ha riferito che il D. non ha prodotto la documentazione bancaria che gli aveva chiesto, per cui non ha potuto svolgere una compiuta disamina del quadro economico/patrimoniale dello stesso. Alla luce di tutto ciò, non si comprende perché la Corte d’Appello giustifichi sostanzialmente, in tal modo legittimandola, la condotta omissiva del D., il quale non ha consentito la ricostruzione del suo patrimonio. Non si comprende altresì come da tale censurabile condotta possa desumersi l’assenza della prodigalità del medesimo. Invero, la descritta condotta ostruzionistica è un grave indizio di tale prodigalità.”.

V) Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 407 c.c., comma 3, per non avere la Corte d’Appello di Bologna disposto d’ufficio l’integrazione della perizia contabile o una nuova perizia con riguardo al valore dell’attuale patrimonio di D.P., circostanza rilevante ai fini della valutazione della prodigalità dello stesso.

3.- Con la decisione impugnata, la Corte di appello ha integralmente riformato la decisione del Giudice tutelare e respinto la domanda di apertura dell’amministrazione di sostegno.

Segnatamente, ha affermato che, come già accertato in primo grado sulla scorta dei risultati della CTU effettuata, D. non era affetto da patologie psichiche ed era pienamente in grado di intendere e di volere; non era inoltre una persona definibile come “fragile” tenuto conto della sua storia personale e dei risultati conseguiti nella vita e non era caratterizzato da debolezza tale da aprire l’ipotesi di una suggestionabilità, risultando ben fermo nella convinzione di non necessitare di una misura di protezione ed avvalendosi di specialisti legali e medici a sostegno della sua tesi.

Ha, quindi, affermato che difettava la prova che D. fosse affetto da prodigalità; con riferimento alla accertata alienazione di fondi agricoli per Euro 1.242.000,00 ed alla circostanza che il beneficiando non avesse voluto dare conto dell’utilizzo della metà della somma, ha ritenuto che tale complessiva condotta non integrasse gli estremi della prodigalità solo perché non si conosceva l’utilizzo di tale parte, posto che la CTU contabile Fi. “ha rappresentato di avere effettuato una ricostruzione solo parziale” ed ha osservato poi che erano emerse uscite compatibili con le ordinarie esigenze di una azienda agricola.

La Corte di merito ha concluso che il depauperamento del patrimonio, che vi era stato in parte (vendita di fondi agricoli per oltre Euro 1.200.000,00 di cui D. non aveva voluto spiegare l’impiego di circa la metà del ricavato), il disordine o l’inadeguatezza nella gestione dell’azienda, costituissero in sé prodigalità, osservando che l’amministrazione di sostegno non è finalizzata alla conservazione del patrimonio.

Di poi ha escluso che vi fosse la prova di una relazione con una donna rumena e della sua influenza ed ha osservato che la coniuge separata, che lamentava il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, aveva altri strumenti per soddisfare e/o garantire il suo credito.

4.1. – I motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti nei sensi di cui in motivazione.

4.2.1.- L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3, innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che – a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sostenga la libertà decisionale delle persone fragili, aiutandole a svolgere i compiti quotidiani senza sostituire la loro volontà, sulla base di un decreto adottato da un giudice, e sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere autonomamente in tutto o in parte ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020).

Invero, come è stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006n. 22332/2011Cass. n. 18171/2013Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007).

4.2.2.- La lettura dell’istituto, come si è andata delineando nelle recenti pronunce di legittimità di cui si è dato conto, appare in linea, ed anzi è confortata, dal rilievo che, con L. 3 marzo 2009, n. 18, entrata in vigore il successivo 15 marzo 2009, l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità (adottata il 13 dicembre 2006). Confermata la valutazione di compatibilità tra la disciplina normativa dell’amministrazione di sostegno e la Convenzione anzidetta (Cass. n. 18320/2012), è opportuno ricordare, come precisato all’art. 1, che la Convenzione ha l’obiettivo di promuovere, proteggere ed assicurare alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel rispetto della dignità umana e riguarda non soltanto le persone cd. inferme di mente, ma tutte quelle che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine “che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”. Si tratta di una disciplina che supera la logica della protezione tipicamente patrimoniale della persona, a favore di un modello sociale fondato sui diritti umani, che si pone in linea di evidente novità rispetto agli odierni ordinamenti giuridici. Una disciplina nella quale scompare ogni riferimento alla incapacità, per dare spazio alla disabilità, come condizione complessiva della persona, che non può limitare nè deve incidere sulla sua capacità di agire e che, all’art. 12, prescrive a tutti gli Stati l’obbligo di riconoscere che le persone con disabilità godono della piena capacità in tutti gli aspetti della vita e di assumere tutte le misure per assicurare e garantire che le persone con disabilità godano della piena capacità legale (Cass. n. 3462/2022, in motivazione).

Segnatamente, l’art. 12 della Convenzione, sotto la rubrica “Uguale riconoscimento di fronte alla legge”, stabilisce che “1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto di essere riconosciute ovunque quali persone di fronte alla legge. 2. Gli Stati Parti dovranno riconoscere che le persone con disabilità godono della capacità legale su base di eguaglianza rispetto agli altri in tutti gli aspetti della vita. 3. Gli Stati Parti prenderanno appropriate misure per permettere l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno che esse dovessero richiedere nell’esercizio della propria capacità legale. 4. Gli Stati Parti assicureranno che tutte le misure relative all’esercizio della capacità legale forniscano appropriate ed efficaci salvaguardie per prevenire abusi in conformità della legislazione internazionale sui diritti umani. Tali garanzie assicureranno che le misure relative all’esercizio della capacità legale rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. 5. Queste garanzie dovranno essere proporzionate al grado in cui le suddette misure toccano i diritti e gli interessi delle persone. 6. Sulla base di quanto previsto nel presente articolo, gli Stati Parti prenderanno tutte le misure appropriate ed efficaci per assicurare l’eguale diritto delle persone con disabilità alla propria o ereditata proprietà, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicureranno che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà”. Trattasi di norma che i primi commentatori hanno definito “il massimo standard di protezione dei diritti umani della persona con disabilità, con lo scopo di assicurare il diritto alla eguaglianza e alla non discriminazione in relazione al godimento e all’esercizio della sua capacità”.

4.2.3.- Ad oltre un decennio, ormai, dal momento in cui la menzionata Convenzione delle Nazioni Unite è stata ratificata dalla nostra Repubblica – ritenuta la compatibilità della disciplina nazionale dell’amministrazione di sostegno rispetto alla Convenzione – occorre interrogarsi, allora, sulla necessità di valorizzare, nell’ambito della disciplina nazionale, le disposizioni e le soluzioni interpretative potenzialmente coerenti con i principi espressi in questo strumento internazionale.

4.2.4.- In questa prospettiva, riveste una posizione di centralità, compatibilmente con il tipo ed il grado di disabilità dell’amministrando, l’audizione della persona cui il procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno si riferisce. Invero, – a differenza di quanto previsto per il procedimento di interdizione o inabilitazione (art. 419 c.c.) – il giudice tutelare non solo deve sentire la persona ma, con previsione peculiare propria dell’istituto di protezione in esame, “deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa” (art. 407 c.c., comma 3). L’audizione del beneficiario risulta, invero, centrale nell’ambito del procedimento in esame (Cass. n. 6861/2013) per l’adozione di un provvedimento congruo e commisurato alle concrete esigenze dell’amministrando, anche se la volontà espressa dal beneficiario non appare decisiva in relazione all’esito del procedimento di apertura della amministrazione di sostegno. Se, infatti, la circostanza che il beneficiario abbia chiesto o accettato il sostegno ovvero abbia indicato la persona da nominare o i bisogni concreti da soddisfare non costituisce condizione necessaria per l’applicazione di tale misura (v. Cass. n. 4866/2010; anche secondo Corte Cost. n. 4 del 2007), così come, in senso opposto, al dissenso del beneficiario, ai sensi degli artt. 407 e 410 c.c., non è attribuita una efficacia paralizzante ai fini dell’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno, a meno che – come è stato già affermato – il giudice non accerti che i suoi interessi sono comunque tutelati, sia in via di fatto dai familiari che per il sistema di deleghe attivato autonomamente dall’interessato (Cass. n. 22602/2017), va tuttavia rimarcato che la volontà contraria all’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica), non può non essere tenuta in debito conto da parte del giudice, che deve garantire l’equilibrio della decisione, tenendo conto della necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie, a seconda dei casi (Cass. n. 29981/2020).

4.2.5.- Ugualmente, costituiscono punti di forza dell’istituto, l’intrinseco dinamismo e la strumentale flessibilità che lo connotano, desumibili dalla previsione normativa, non formale, del dovere dell’amministratore di sostegno di riferire periodicamente al giudice tutelare non solo in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio, ma anche in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di salute e delle condizioni di vita personale e sociale dell’amministrato (art. 405 c.c., comma 5, n. 6) e, soprattutto, dalla possibilità che il provvedimento che ha dichiarato aperta la procedura sia sempre suscettibile di adeguamento e modifiche anche d’ufficio (art. 407 c.c., comma 4; art. 411 c.c., comma 4). Questo strumentario, sintonico all’obiettivo di una individualizzata rispondenza tra il provvedimento e la sua effettiva e perdurante adeguatezza alle esigenze di assistenza del beneficiario, merita di essere valorizzato, anche nei sensi indicati dall’art. 12 della Convenzione.

4.2.6.- Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – da accertare anche mediante CTU, ove necessario, sia rispetto alla incidenza della stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe dallo stesso approntato; inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. n. 10483/2022).

In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, pur non vincolanti, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.

4.2.7.- Va, quindi, precisato, per focalizzare l’attenzione sul caso di specie concernente una prospettata condizione di prodigalità, che, per giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 5492/2018, Cass. n. 20664/2017Cass. n. 18171/2013), l’amministrazione di sostegno può pronunciarsi, nell’interesse del beneficiario (interesse reale e concreto, inerente alla persona e/o al suo patrimonio), anche in presenza dei presupposti di interdizione e inabilitazione, e dunque anche con riguardo alla prodigalità.

La prodigalità è stata definita come un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare in maniera eccessiva ed esorbitante rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro che configura autonoma causa di inabilitazione, ai sensi dell’art. 415 c.c., comma 2, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio, frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprezzo per coloro che lavorano, o a dispetto dei vincoli di solidarietà familiare) (Cass. n. 786/2017).

In questi sensi è stato ravvisato il presupposto per l’apertura dell’amministrazione di sostegno nel caso di una persona dedita in maniera continua al gioco, che destini ad esso tutti i suoi averi, contraendo anche plurimi prestiti per alimentare questa pregiudizievole inclinazione (Cass. 5492/2018); diversamente, sono stati ritenuti insussistenti gli estremi della prodigalità nella condotta di un soggetto che, con la redistribuzione della propria ricchezza a persone a lui vicine, anche se non parenti, intendeva dare una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia (Cass. n. 786/2017).

4.2.8.- Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, di recente, ha avuto modo di esaminare la disciplina italiana dell’amministrazione di sostegno proprio per un caso di prodigalità (Sentenza Corte Europea diritti dell’uomo Sez. I, Sent. (ud. 27/06/2023) 06/07/2023 – ricorso n. 46412/21).

La Corte EDU (in particolare, v. par. 84-92) ha ricordato che la decisione di sottoporre una persona ad una misura di protezione giuridica può costituire un’ingerenza nella vita privata di tale persona ai sensi dell’art. 8, par. 1, della CEDU, anche quando quest’ultima è stata privata solo in parte della sua capacità giuridica, ed ha rammentato che una lesione del diritto di una persona al rispetto della sua vita privata viola l’art. 8, se non è “prevista dalla legge”, se non persegue uno o più scopi legittimi ai sensi del paragrafo 2, o se non è “necessaria in una società democratica”, nel senso che non è proporzionata agli scopi perseguiti.

4.2.9.- Quindi, passando ad esaminare il caso concreto, riguardante una persona sottoposta al regime di amministrazione di sostegno previsto dagli artt. 404 e 411 c.c., per prodigalità e, da una certa epoca in poi, anche per un indebolimento delle condizioni psicofisiche e mentali, la Corte EDU ha dichiarato di considerare che “l’ingerenza perseguisse lo “scopo legittimo”, ai sensi del secondo paragrafo dell’art. 8, della protezione del secondo ricorrente contro, in un primo tempo, il rischio di indigenza e, a partire dal 2020, un indebolimento di ordine fisico e mentale”, e ciò anche se la decisione di sottoporre la persona all’amministrazione di sostegno, privandola in parte, se del caso, della sua capacità giuridica, non era basata su una constatazione di un’alterazione delle sue facoltà mentali attestata da medici, ma su una eccessiva prodigalità che poteva porlo a rischio di indigenza, e sull’indebolimento fisico e psichico da lui dimostrato a partire dal XXXX.

Di seguito, la Corte EDU ha precisato che vi è necessità di perimetrare la concreta misura da applicare in termini di proporzionalità perché “privare una persona della sua capacità giuridica, anche in parte, è una misura molto grave che dovrebbe essere riservata a circostanze eccezionali. Tuttavia, deve essere lasciato inevitabilmente un margine di apprezzamento alle autorità nazionali che, a causa del loro contatto diretto e continuo con le forze vive del loro paese, si trovano in linea di principio in una posizione migliore rispetto a una giurisdizione internazionale per valutare i bisogni e le condizioni locali. Questo margine varierà in funzione della natura del diritto della Convenzione che è in causa, della sua importanza per la persona e della natura delle attività limitate, così come della natura dello scopo perseguito dalle restrizioni. Il margine tenderà a essere più ristretto quando il diritto in gioco è fondamentale per il godimento effettivo da parte della persona di diritti intimi o essenziali” e, nel caso specifico, ha concluso che, anche se l’ingerenza perseguiva lo scopo legittimo di proteggere il benessere, in senso ampio, dell’amministrato, essa (consistita nel ricovero in RSA con restrizioni per quanto concerneva i suoi contatti con i parenti e nella circostanza che tutte le decisioni che lo riguardano erano state prese dall’amministratore di sostegno) non era tuttavia, in riferimento alla gamma delle misure che le autorità potevano adottare, nè proporzionata nè adeguata alla sua situazione individuale e l’ingerenza non era rimasta entro i limiti del margine di apprezzamento di cui le autorità giudiziarie beneficiavano nel caso di specie (par. 108).

4.3.- Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, va osservato che la decisione impugnata non risulta essere stata pronunciata nel solco dei principi anzidetti, pure in parte formalmente riprodotti, si ché si palesa ampiamente lacunosa e va, pertanto, cassata.

Come già evidenziato, la prodigalità di per sé non costituisce necessariamente espressione di una patologia psichica o psichiatrica e può non essere basata su una constatazione di alterazione delle facoltà mentali del beneficiando attestata da medici (come avvenuto anche nel caso esaminato dalla Corte EDU), ma su concrete condotte tali da porlo a rischio di indigenza.

La prova della prodigalità può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 34950/2022Cass. n. 9054 del 21/03/2022).

Orbene, la decisione impugnata non ha fatto retta applicazione dei principi richiamati, laddove viene affermato, sulla base della disamina della consulenza medico legale che D. non è affetto da patologie psichiche e da ciò si deduce che difetta la prova che sia affetto da prodigalità, assumendo che il fatto che D. non abbia voluto dare conto dell’utilizzo della metà delle somme incassate “non configura di per sé prodigalità, e tanto meno prova dell’utilizzo di somme per futili motivi”, pur trattandosi di somme “di cui nulla è dato sapere” e che è vero che vi è un “depauperamento del patrimonio” e un “disordine o inadeguatezza nella gestione dell’azienda, ma ciò non costituisce di per sé prodigalità”, risultando in ciò evidente una valutazione atomistica, e non complessiva, degli elementi, anche indiziari, acquisiti.

Invero, la condotta serbata nel corso dello svolgimento della CTU contabile da D., pur non potendo costituire univoco indizio di prodigalità, come suggerisce la ricorrente, non è nemmeno un elemento neutro. Infatti, ciò avrebbe dovuto indurre ulteriori approfondimenti istruttori, possibili anche ex officio ai sensi dell’art. 407 c.c., poiché proprio la condotta osservata aveva inficiato i risultati dell’accertamento tecnico contabile e impedito la piena comprensione della rilevantissima vicenda dissolutoria del patrimonio del beneficiando che aveva indotto la richiesta di apertura dell’amministrazione di sostegno, tanto più che l’amministrando non ha illustrato le ragioni delle sue scelte, non ha chiarito la destinazione di gran parte delle somme conseguite e non ha nemmeno mostrato di essere pienamente consapevole delle situazioni di grave pregiudizio nelle quali poteva trovarsi, avendo finanche richiesto, senza esito favorevole, dei finanziamenti bancari.

Anche le dichiarazioni rese dal fratello di D., concernenti i rischi di compromissione dell’intero patrimonio del germano con grave ed irreversibile pregiudizio di quest’ultimo e la interruzione dei rapporti con i familiari, così come le relazioni dell’amministratore di sostegno da cui si evinceva la mancanza di collaborazione di D. , non sono state adeguatamente considerate laddove, ove vagliate e valutate, avrebbero potuto fornire elementi rilevanti sia per la ricostruzione del quadro di prodigalità, sia all’opposto per una motivata ed argomentata esclusione dello stesso, ciò che il decreto impugnato, invero, non fornisce.

Se una persona è libera di disporre del proprio patrimonio, anche in misura larga e ampia, assottigliando ciò di cui legittimamente dispone, non può però ridursi nella condizione in cui, non solo non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà già posti a suo carico (l’aiuto all’ex coniuge), ma finanche quelli che egli in favore della propria persona, altrimenti costretta a far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico da richiedersi a dispetto delle proprie sostanze capacità di vita dignitosa. In sostanza, la collettività non può farsi carico dell’eccesso di prodigalità di una persona che con le sue sostanze ha di che vivere e dignitosamente.

La decisione impugnata va, dunque cassata, e la Corte di appello – che tali accertamenti non ha svolto con attenzione – in sede di rinvio dovrà procedere al riesame della causa alla luce dei principi espressi, esercitando, se del caso, i poteri istruttori ex officio, ai sensi dell’art. 407 c.c., al fine di acquisire gli elementi di fatto necessari all’accertamento richiesto e valutando in maniera complessiva le emergenze istruttorie già in atti e così acquisite.

Resta fermo che, ove dovessero ravvisarsi i presupposti per l’apertura dell’amministrazione di sostegno, che è misura di protezione, la stessa dovrà essere adottata nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità alla situazione individuale ed entro i limiti del margine di apprezzamento di cui l’autorità giudiziaria beneficia nel caso di specie.

5.- In conclusione, il ricorso va accolto; il decreto impugnato va cassato con rinvio della causa, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, che si atterrà ai principi prima ricordati.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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