Un ristoratore deteneva per la vendita alimenti in cattivo stato di conservazione in cattivo stato di conservazione in quanto congelati con sistemi impropri, confezionati in contenitori non adatti alla congelazione e conservati in promiscuità con altri alimenti rinvenuti in confezioni originali.

È stato dunque condannato alla pena di 5 mila euro di ammenda.

Al fine di accertare il cattivo stato di conservazione degli alimenti, nessun accertamento analitico venne eseguito.

Al riguardo, osserva la Corte di cassazione che, ai fini dell’accertamento della condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all’evidenza mal conservati ed, altresì, che l’eventuale violazione delle norme sul prelievo di campioni, siccome si inquadra in un’attività preliminare e pre-processuale, non determina alcuna nullità.

Aggiunge la corte che, ai fini dell’accertamento dello stato di conservazione degli alimenti detenuti per la vendita, non sono indispensabili né un’analisi di laboratorio né una perizia, essendo consentito al giudice di merito pervenire ugualmente al detto risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, allorché lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione, come accertato dai verbalizzanti nel caso di specie, avendo gli stessi dichiarato che il sistema di congelamento della mercé era improprio, che i contenitori in cui gli alimenti erano custoditi erano inadatti alla congelazione e che vi era promiscuità con altri alimenti custoditi in confezioni originali (.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 gennaio – 11 marzo 2014, n. 11539 – Presidente Squassoni – Relatore Scarcella

Ritenuto in fatto

1. M.C. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza del tribunale di Napoli, sez. dist. Marano in data 21/02/2013, depositata in data 7/03/2013, con cui il medesimo imputato è stato condannato alla pena di 5.000 Euro di ammenda, oltre alle spese di giudizio, per il reato di cui agli artt. 5, lett. b) e 6, legge n. 283/62, perché, in qualità di legale rappresentante della soc. …… & C. s.a.s., esercente attività di ristorazione con somministrazione in locali ubicati in (omissis), deteneva per la vendita alimenti (nella specie, kg 12 di verdure miste già cotte, kg 1 di hamburger, kg 3 di pastafrolla lavorata in loco, rinvenuti all’interno di un frigo adibito per la conservazione di prodotti congelati e surgelati, nonché kg. 2 di fiordilatte e kg. 0,500 di limoni invasi da muffe, rinvenuti all’interno di un armadio frigo utilizzato per la conservazione al fresco di sostanze alimentari) in cattivo stato di conservazione in quanto congelati con sistemi impropri, confezionati in contenitori non adatti alla congelazione e conservati in promiscuità con altri alimenti rinvenuti in confezioni originali; accertato in (omissis).

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore speciale cassazionista, deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Deduce, con un primo motivo, l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 132 e 133 c.p. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato con riferimento all’omessa concessione delle attenuanti generiche (art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.); in sintesi, si duole il ricorrente per non aver il giudice di merito motivato in ordine alle ragioni specifiche che lo avevano indotto a negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, quindi, adeguare la pena al caso concreto, incorrendo nel vizio previsto dall’art. 132 c.p.; in altri termini, il giudice di merito, negando la concessione dell’art. 62 bis c.p., non solo avrebbe disatteso l’obbligo motivazionale omettendo il puntuale esame critico dei parametri e delle ragioni poste a fondamento della sua scelta, ma, in violazione del disposto dell’art. 132 e dell’art. 133 c.p., non avrebbe assolutamente provveduto a graduare ed adeguare la pena al fatto; le censure investono, in particolare, l’affermazione del giudice secondo cui non vi sarebbero elementi in atti per concedere all’imputato le circostanze attenuanti generiche, laddove, invece, avrebbe dovuto valutare sia lo scarso allarme sociale della condotta vietata che lo stato di incensuratezza del ricorrente, dovendo il giudice motivare in base a quali parametri ne ha negato il riconoscimento; né, infine, il giudice avrebbe tenuto conto dell’obbligo impostogli dall’art. 132 c.p., stante la mancata indicazione dei motivi che, anche per implicito, lo hanno condotto alla mancata concessione dell’art. 62 bis c.p. ed hanno, dunque, giustificato l’uso del potere discrezionale nell’applicare la pena, non essendo sufficiente a soddisfare tale obbligo il semplice riferimento alla “congruità” della pena.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, l’inosservanza dell’art. 223, comma 3, disp. Att. C.p.p., con riferimento all’inutilizzabilità delle risultanze delle analisi dei campioni alimentari acquisite in dibattimento (art. 606, lett. c), c.p.p.); in sintesi, si duole il ricorrente per aver fondato la sentenza impugnata il giudizio di responsabilità, nonostante la violazione delle garanzie difensive previste dalla richiamata norma processuale, stante l’omessa comunicazione al ricorrente della facoltà di farsi assistere da un proprio difensore o da un c.t. durante l’espletamento delle operazioni di prelievo di campioni alimentari per le analisi; in altri termini, trattandosi di alimenti deteriorabili, la circostanza che i prelievi siano avvenuti solo il terzo giorno dell’accesso avrebbe, di fatto, falsato tale formazione della prova, in quanto le analisi dei generi alimentari rientravano nel novero di quelle per cui non è prevista la revisione, con conseguente elusione del diritto di difesa dell’imputato, donde l’inutilizzabilità in dibattimento dei verbali di analisi per mancata osservanza delle garanzie difensive.

Considerato in diritto

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e comunque, per le ragioni che si esporranno, anche a norma dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen..
4. Quanto al primo motivo, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen. in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge; ed invero, dal verbale di udienza del 21 febbraio 2013, non risulta che la difesa abbia richiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Corre l’obbligo, a tal proposito, di ricordare che la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l’esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale è obbligato a motivare al riguardo solo quando in relazione ad esse vi sia stata un’espressa istanza con l’indicazione delle ragioni atte a giustificare la particolare benevolenza del giudice (Sez. 2, n. 4597 del 06/12/1972 – dep. 09/06/1973, Colombo, Rv. 124315). Nel caso in esame, diversamente, era stato il pubblico ministero, nelle sue conclusioni, a chiedere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: ed è pacifico che il giudice di merito, tranne il caso in cui vi sia una specifica richiesta dell’imputato, non è tenuto a motivare in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche qualora non ravvisi elementi che, nel suo discrezionale giudizio, ne consiglino il loro riconoscimento (Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987 – dep. 23/02/1988, Trocarico, Rv. 177678).

Il giudice di merito non è quindi tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non equivalendo la generica richiesta di assoluzione (come nel caso specie) a quella di concessione delle predette attenuanti (v., anche Sez. 1, n. 6943 del 18/01/1990 – dep. 15/05/1990, angora, Rv. 184311).

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: “Il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non equivalendo la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti”.

5. Quanto al secondo motivo, l’inammissibilità per manifesta infondatezza emerge dalla stessa motivazione della decisione, da cui emerge chiaramente che, al fine di accertare il cattivo stato di conservazione degli alimenti, nessun accertamento analitico venne eseguito, né ai risultati di analisi si fa alcun riferimento. Assolutamente inconferente appare, pertanto, il profilo di doglianza, atteso che, non emergendo dalla sentenza impugnata alcun richiamo alle risultanze di accertamenti analitici, la censura è del tutto immotivata. Peraltro, deve qui ricordarsi che per l’accertamento della condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all’evidenza mal conservati ed, altresì, che l’eventuale violazione delle norme sul prelievo di campioni, siccome si inquadra in un’attività preliminare e pre-processuale, non determina alcuna nullità (v., in termini: Sez. 3, n. 14250 del 21/03/2006 – dep. 21/04/2006, Olla, Rv. 234121). Ed, invero, ai fini dell’accertamento dello stato di conservazione degli alimenti detenuti per la vendita, non sono indispensabili né un’analisi di laboratorio né una perizia, essendo consentito al giudice di merito pervenire ugualmente al detto risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, allorché lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione, come accertato dai verbalizzanti nel caso di specie, avendo gli stessi dichiarato che il sistema di congelamento della mercé era improprio, che i contenitori in cui gli alimenti erano custoditi erano inadatti alla congelazione e che vi era promiscuità con altri alimenti custoditi in confezioni originali (Sez. 3, n. 35234 del 28/06/2007 – dep. 21/09/2007, Lepori, Rv. 237520).

6. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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