È responsabile del reato di abbandono di persone minori o incapaci chi lasci la figlia minorenne in auto mentre si reca presso una caserma dei Carabinieri, lasciando la minorenne da sola a bordo dell’auto, all’interno di un parcheggio.
È irrilevante il lasso di tempo durante il quale la bambina, che dormiva, rimaneva da sola così come non importa che l’auto fosse stata lasciata parcheggiata all’ombra e che il finestrino fosse stato lasciato con un’apertura di dieci centimetri e la bambina assicurata al seggiolino.
L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo; per la sussistenza del delitto di abbandono di persone minori o incapaci basta uno stato, sia pure potenziale, di pericolo per l’incolumità del minore o dell’incapace in dipendenza dell’abbandono, onde l’abbandono è punibile anche se temporaneo.
Nel caso di specie è stato ravvisato lo stato di pericolo, tenuto conto che la figlia dell’imputato all’epoca aveva cinque anni e, quindi, non era autosufficiente nè in grado di gestire i profili di pericolosità correlati al suo essere da sola a bordo di un veicolo; irrilevante era che l’imputato aveva azionato il blocco delle portiere. In ogni caso, invece, veniva valorizzata la circostanza che, indipendentemente dalle azioni che la minore avrebbe potuto porre in essere, la vettura si trovava nel parcheggio posteriore di un supermercato, senza barriere all’ingresso e, quindi aperto all’accesso di qualunque soggetto (che avrebbe potuto aprire la portiera del veicolo approfittando dell’apertura del finestrino, di dieci centimetri e che dall’interno della caserma dei Carabinieri dove l’imputato si trovava, non poteva sorvegliare la vettura, nè egli poteva avere contezza del tempo necessario per svolgere l’incombente per cui era stato convocato.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Cass. pen., sez. IV, ud. 24 marzo 2021 (dep. 19 luglio 2021), n. 27883 – Presidente Pezzullo – Relatore Francolini
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 17 luglio 2018 (dep. il 9 ottobre 2018) la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia in data 7 settembre 2017, con la quale – per quel che qui rileva il Tribunale di Bologna aveva affermato la responsabilità di P.A. per il reato di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) – segnatamente della figlia minore P.G. – e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante prevista dall’art. 591 c.p., comma 4, lo aveva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali (con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto dai privati), al risarcimento del danno in favore della parte civile (la medesima P.G.), da liquidarsi in separato giudizio, al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro mille e alla rifusione nella misura del 50% delle spese di costituzione in favore della stessa parte civile che ha compensato per la restante parte.
2. Avverso la sentenza è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputato, articolando un unico motivo (di seguito esposto, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1), in particolare denunciando: – la mancanza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione, conseguente all’erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., con riguardo alla valutazione della prova sulla sussistenza del requisito del pericolo di cui all’art. 591 c.p. (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)). – e la conseguente violazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), ossia della medesima norma incriminatrice appena citata.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Con l’impugnazione sono stati addotti il vizio della motivazione e la violazione dell’art. 591 c.p.. Ad avviso del ricorrente: – la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato nel fatto dell’imputato – che il 30 marzo 2011 si è presentato presso una caserma dei Carabinieri dove era stato convocato per essere identificato ed ha lasciato la figlia minore (all’epoca di 5 anni) da sola a bordo dell’autovettura con cui era giunto in loco, all’interno di un parcheggio – un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumità della minore; – e ciò in contrasto con gli elementi in atti, e in particolare non tenendo conto del brevissimo lasso di tempo (circa cinque minuti) durante il quale la bambina – che dormiva – è rimasta da sola, del fatto che il veicolo fosse stato parcheggiato all’ombra e la giornata fosse mite, il finestrino fosse stato lasciato con un’apertura di dieci centimetri e la bambina fosse assicurata al seggiolino il cui utilizzo è prescritto (non potendo, perciò, intraprendere alcuna azione pericolosa, in difetto peraltro di elementi probatori che depongano per la presenza nella vettura di oggetti da impiegare in tal modo); – in tal modo, sarebbe stata resa una motivazione incongrua sul punto e ritenuta, pertanto, l’offensività della condotta dell’imputato.
2. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte: – “l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all’art. 591 c.p., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo” (Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, P., Rv. 273479 – 01; cfr. pure Sez. 1, n. 35814 del 30/04/2015, Andreini, Rv. 264566 – 01; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012 – dep. 2013, T., Rv. 255172 – 01; cfr. già Sez. 5, n. 332 del 12/10/1982 – dep. 1983, Figone, Rv. 156917 – 01, secondo cui “per la sussistenza del delitto di abbandono di persone minori o incapaci basta uno stato, sia pure potenziale, di pericolo per l’incolumità del minore o dell’incapace in dipendenza dell’abbandono, onde l’abbandono è punibile anche se temporaneo”); – è inammissibile per difetto di specificità l’impugnazione – ivi compreso, ovviamente il ricorso per cassazione – che difetti di una critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce; tale critica, infatti, è la funzione tipica dell’impugnazione e, pertanto, “contenuto essenziale dell’atto” con cui essa viene mossa è “innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta)” (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01); ed essa non può dirsi in effetti avanzata allorché il ricorso per cassazione “riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (…) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti” (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 – 01).
3. La Corte territoriale ha correttamente fatto riferimento alla consolidata esegesi dell’art. 591 c.p., appena riportata. E, alla luce di essa, ha esposto gli elementi in ragione dei quali nel caso in esame ha ravvisato lo stato di pericolo, dando conto del fatto che: – la figlia dell’imputato avesse all’epoca cinque anni e, quindi, non fosse autosufficiente nè in grado di gestire i profili di pericolosità correlati al suo essere da sola a bordo di un veicolo; – non consti alcun riscontro alle dichiarazioni dell’imputato, che aveva assunto di aver azionato il blocco delle portiere; – in ogni caso, indipendentemente dalle azioni che la minore avrebbe potuto porre in essere, la vettura si trovava nel parcheggio posteriore di un supermercato, senza barriere all’ingresso e, quindi aperto all’accesso di qualunque soggetto (che avrebbe potuto aprire la portiera del veicolo approfittando dell’apertura del finestrino, di dieci centimetri); – dall’interno della caserma dei Carabinieri l’imputato non poteva sorvegliare la vettura, nè egli poteva avere contezza del tempo necessario per svolgere l’incombente per cui era stato collocato. Rispetto a tale argomentazione, il ricorrente ha in sostanza reiterato le medesime allegazioni svolte con il gravame (non accolto proprio sulla scorta di quanto appena esposto), senza tuttavia confrontarsi in toto con la motivazione resa dalla Corte territoriale (in particolare, non considerando in alcun modo la ritenuta possibilità che soggetti terzi – senza che lo stesso P. potesse intervenire, potessero riuscire ad aprire la portiera della vettura, profilo che in maniera il Giudice di appello ha ritenuto sufficiente a dar luogo allo stato di pericolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice); ed ha allegato elementi di fatto (quali il blocco delle portiere e il poco tempo necessario per gli incombenti da svolgere) in maniera generica ed anzi in contrasto con gli elementi in atti (traendosi piuttosto dalla sentenza di primo grado che la vettura era dotata di un “sistema di sicurezza per bambini” e non anche di un blocco che potesse impedire ad altri di aprirla; e che per le incombenze da svolgere presso i Carabinieri, secondo quanto narrato dal luogotenente dei Carabinieri B.F. , occorresse circa mezz’ora e che furono i militari dell’Arma – a seguito delle dichiarazioni dell’imputato, subito risultate mendaci, a recarsi nel parcheggio) e, dunque, inidonea a far ritenere che nella specie abbia avuto luogo un travisamento della prova o che la decisione sia stata resa sulla scorta di un iter illogico o contraddittorio e, perciò, censurabile in questa sede (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, che richiama Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; conf. Sez. 2, n. 7667/2015, cit.). Ne discende che il ricorso è inammissibile.
4. All’inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro tremila. Si dispone che sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, l’annotazione prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 3, volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
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