Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, non costituendo quest’ultimo l’evento del reato ma un elemento che appartiene al dolo specifico.

Nel caso di specie, l’imputato, approfittando del fatto che lo zaino era stato momentaneamente poggiato al suolo, se ne impossessava, quindi sferrava un pugno al volto della vittima e fuggiva a piedi, inseguito sia dalla vittima che dai Carabinieri intervenuti. L’imputato così conseguiva l’autonomo dominio utile della cosa sottratta, vincendo la resistenza della vittima mediante violenza alla persona.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia

Cass. pen., sez. II, ud. 15 luglio 2021 (dep. 27 luglio 2021), n. 29404 – Presidente Cammino – Relatore Perrotti

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza impugnata, che, riconosciute le circostanze attenuanti generiche sul minimo della pena applicato per il delitto di rapina impropria consumato, aveva condannato l’imputato alla pena di un anno e mesi quattro di reclusione, oltre la multa; pena così ridotta per la scelta del rito. Avverso tale sentenza ricorre l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i motivi in appresso sintetizzati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

1.1. violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale, violazione della legge processuale, vizi esiziali di motivazione, anche per travisamento della prova (art. 606 c.p., comma 1, lett. b, c ed e; art. 628 cpv. c.p.), per aver la Corte riconosciuto la responsabilità del ricorrente, ad onta della equivoca contraddittorietà della prova dichiarativa circa la sussistenza del fatto; i medesimi vizi attingono la sentenza impugnata, avendo la Corte ritenuto il fatto consumato, nonostante l’evidente difetto della definitiva sottrazione ed impossessamento, in capo all’agente, dello zaino della vittima.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi, che, censurando aspetti della decisione relativi all’apprezzamento della prova per l’accertamento del fatto, denunciano (il primo) un travisamento della prova che non è dato cogliere dall’esame della duplice motivazione conforme di condanna. Il secondo motivo sollecita invece la Corte di legittimità ad una differente qualificazione del fatto (rapina impropria solo tentata), che la Corte territoriale ha inteso (in conformità di giudizio con il primo giudice) racchiudere nella tipicità descrittiva della rapina consumata, con motivazione che, aderendo scrupolosamente ai dati di fatto assunti nel giudizio a prova contratta, non appare affatto illogica, men che meno in forma manifesta.

1. A fronte della duplice condanna in primo ed in secondo grado, i vizi di motivazione e le violazioni di legge denunciate, non possono essere coltivati dinanzi a questa Corte, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269217; Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963, del 3/12/2020, Rv. 280155).

1.1. D’altra parte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, Sez. 4, n. 56311-18, del 28/11/2018; Sez. 2, 55955-18, del 10/9/2018; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615).

1.2. Tanto chiarito quanto all’ambito del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza d’appello in caso di doppia pronuncia di colpevolezza, va rilevato come le deduzioni difensive in tema di accertamento del fatto e qualificazione consumata della rapina impropria siano volte a sollecitare un diverso apprezzamento delle emergenze processuali (in particolare, per errata descrizione della condotta violenta descritta dall’offeso e per il ravvisato difetto di sottrazione della res dalla sfera di dominio diretto dell’offeso e corrispondente difetto di impossessamento del medesimo oggetto), operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle epifanie processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell’iter argomentativo delle decisioni impugnate, non ha idoneità ad incidere sulla legittimità della decisione impugnata.

1.3. La Corte di merito, la cui motivazione si fonde e si integra con quella del giudice di primo grado, ha spiegato in maniera chiara, logica e coerente che la prova del fatto è stata fornita in maniera assolutamente circostanziata da colui che la violenza alla persona ha direttamente sofferto, dopo aver subito la sottrazione dello zaino poggiato al suolo, mentre la qualificazione giuridica del fatto è stata operata in aderenza alle circostanze emerse nel corso della istruttoria a prova contratta ed in perfetta sintonia rispetto al consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, dal quale questo Collegio non intende discostarsi (solo tra le più recenti e massimate: Sez. 2, n. 15584 del 12/02/2021, Rv. 281117; Sez. 2, n. 11135, del 22/2/2017, Rv. 269858: Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, non costituendo quest’ultimo l’evento del reato ma un elemento che appartiene al dolo specifico; conf. Sez. 2, n. 46412, del 16/10/2014, Rv. 261021; Sez. U. n. 34952, del 19/4/2012, Rv. 253153). L’agente, così motivano conformemente le sentenze di merito, profittando del fatto che lo zaino era stato momentaneamente poggiato al suolo, se ne impossessava, quindi sferrava un pugno al volto della vittima e fuggiva a piedi, inseguito sia dalla vittima che dai c.c. intervenuti. Così facendo pertanto conseguiva l’autonomo dominio utile della res sottratta, vincendo con violenza alla persona la resistenza della vittima. La cronologia dell’occorso, limpidamente descritta nel corpo motivazionale delle consonanti sentenze di merito, rende manifesta la consumazione del delitto di rapina, ricorrendone tutti gli estremi.

2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro duemila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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