Durante la chiusura al pubblico per l’emergenza Covid, nei confronti del proprietario di un ristorante veniva emesso un decreto di sequestro preventivo per reati connessi alla produzione e vendita di sostanze alimentari e vendita di sostanze alimentari non genuine.
Oltre alla carne mal conservata in cella frigorifera veniva sequestrato anche il locale commerciale.
Secondo il tribunale del riesame la carne era conservata in modo errato per la temperatura d 1 grado (invece che di -18 gradi) e per la presenza di muffe pur in assenza di agenti patogeni.
Secondo la difesa, la carne non era in congelamento ma in frollatura (periodo di riposo e di stagionatura della carne alla temperatura di 0/4 gradi). La difesa aggiungeva che, per i bovini la frollatura varia da 10 a 20 giorni, ma anche per un periodo più lungo; che la muffa nobile protegge e fa maturare la carne; infine che, al momento della messa in commercio la parte nera ammuffita viene eliminata.
I giudici hanno respinto qualsiasi argomento difensivo. La polizia giudiziaria rinveniva infatti la carne in cattivo stato di conservazione, all’interno di una cella frigorifera, “carne destinata alla vendita che presentava muffe bianche, verdi e chiazze nere, oltre ad essere, al tatto, viscida e umida, caratteristiche queste ultime sintomatiche anche di un’alterazione organolettica del prodotto alimentare, per un peso complessivo di 800 kg”. Gli agenti di p.g. accertavano l’assenza di strumentazione idonea alla conservazione della carne e il mancato rispetto della procedura di mantenimento della carne destinata alla frollatura.
Secondo i giudici era legittima anche la scelta di sequestrare il locale perché la libera disponibilità della sede (del ristorante) comportava un estremo pericolo per la salute pubblica, in relazione alla quantità (8 quintali) della merce sequestrata, in cattivo stato di conservazione. Vi erano pericoli, sufficienti per mantenere la legittimità del sequestro, anche se il locale era chiuso a causa del covid.
Avv. Annalisa Gasparre, foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 novembre 2020 – 9 marzo 2021, n. 9349 – Presidente Di Nicola – Relatore Socci
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Caltanisetta, in sede di riesame, con ordinanza del 2 luglio 2020 rigettava l’istanza di riesame proposta da R.C.B. avvero il decreto di sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanisetta il 3 giugno 2020 dell’immobile luogo di esercizio dell’attività della società D.R.U. relativamente ai reati di cui all’art. 110 c.p. e L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. B e art. 6 – capo 1, 110, 56 e 516 c.p. – capo 2-; reati accertati il (omissis) .
2. Ricorre in cassazione R.C.B. , deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Violazione di legge (art. 321 c.p.p.) per aver individuato il periculum in relazione all’immobile e non alla sola merce. Il sequestro dei locali e delle licenze non risulta giustificato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata non si preoccupa di spiegare perché oltre alla carne è stato sequestrato anche il locale commerciale (vedi sul punto la sentenza della Cassazione n. 58328/2018).
2. 2. Violazione di legge (artt. 56 e 516 c.p.), per aver individuato un’ipotesi di tentativo alla vendita di carne situata in una cella frigorifera, in un locale chiuso per emergenza covid. L’ordinanza impugnata contesta la tentata frode in commercio in relazione al possesso della carne mal conservata in cella frigorifera. L’esercizio commerciale era chiuso al pubblico per l’emergenza covid e, quindi, nessun idoneo tentativo di messa in vendita poteva essersi concretato. La carne non era esposta al pubblico e pertanto non sono configurabili gli atti idonei diretti in modo non equivoco alla vendita.
2. 3. Violazione di legge (L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. B e art. 6) in relazione alle condizioni della merce – carne destinata alla frollatura, come da criteri di buona conservazione e gusto.
Per il Tribunale del riesame la carne era conservata in modo errato per la temperatura d 1 grado (invece che di -18 gradi) e per la presenza di muffe pur in assenza di agenti patogeni. La carne non era in congelamento ma in frollatura (periodo di riposo e di stagionatura della carne alla temperatura di 0/4 gradi). Per i bovini la frollatura varia da 10 a 20 giorni, ma anche per un periodo più lungo. La muffa nobile protegge e fa maturare la carne. Al momento della messa in commercio la parte nera ammuffita viene eliminata. Si tratta di una tecnica in uso nei migliori ristoranti italiani, custodita da artigiani del settore.
Ha chiesto, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Con memoria di replica il ricorrente ha ribadito la fondatezza del ricorso, contestando le osservazioni scritte della Procura e chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta inammissibile perché proposto per vizi della motivazione, con motivi generici e manifestamente infondati; peraltro articolati in fatto.
4. Sia per il sequestro preventivo e sia per il sequestro probatorio è possibile il ricorso per cassaziione unicamente per motivi di violazione di legge, e non per vizio di motivazione.
Nella specie i motivi di ricorso risultano proposti, sostanzialmente, per il vizio di motivazione del provvedimento impugnato (nella valutazione sostanziale del ricorso).
Il ricorso in cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Tuttavia, nella specie non ricorre una violazione di legge (e nemmeno l’apparenza della motivazione) e, conseguentemente, il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.
Infatti, il provvedimento impugnato contiene adeguata motivazione, non contraddittoria e non manifestamente illogica con corretta applicazione dei principi in materia espressi da questa Corte di Cassazione, e rileva come il fumus dei reati in accertamento risulta dagli esiti dell’accertamento di P.G. del (Omissis) ; la P.G. al controllo del locale ristorante rinveniva la carne in cattivo stato di conservazione, all’interno di una cella frigorifera, “carne destinata alla vendita che presentava muffe bianche, verdi e chiazze nere, oltre ad essere, al tatto, viscida e umida, caratteristiche queste ultime sintomatiche anche di un’alterazione organolettica del prodotto alimentare, per un peso complessivo di 800 kg”. Gli stessi agenti di P.G. accertavano l’assenza di strumentazione idonea alla conservazione della carne e il mancato rispetto della procedura di mantenimento della carne destinata alla frollatura.
I controlli della P.G. intervenivano proprio allo scopo della verifica della conservazione degli alimenti nel periodo di chiusura Covid, in attesa delle riaperture.
Nel ricorso in cassazione non ci si confronta con la suddetta motivazione, ma in modo generico si contesta il fumus dei reati.
4. 1. Relativamente al sequestro del ristorante e alle esigenze cautelari si deve rilevare che il provvedimento genetico del G.I.P., al quale il Tribunale del riesame si richiama, evidenziava come la libera disponibilità della sede (del ristorante) comportava un estremo pericolo per la salute pubblica, in relazione alla quantità (8 quintali) della merce sequestrata, in cattivo stato di conservazione.
Del resto per la configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5 non è necessaria la prova della messa in vendita (“Integra il reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione la condotta consistente nella materiale disponibilità di quel prodotto da parte dell’operatore commerciale, sia esso grossista o dettagliante, in vista della fornitura ai consumatori. In applicazione di tale principio la Corte ha disatteso la tesi difensiva secondo cui mancava la prova della destinazione alla vendita degli alimenti, trovati abbandonati in evidente cattivo stato di conservazione all’interno di un automezzo, il cui impianto di refrigerazione era disattivato, parcheggiato nei pressi del deposito di generi alimentari all’ingrosso, di cui era titolare l’imputato (Sez. 3, n. 17548 del 25/03/2010 – dep. 07/05/2010, Seravini, Rv. 24748801).
Anche per la configurabilità del tentativo (artt. 56 516 c.p.) si tratta di accertamenti di fatto insindacabili in sede di legittimità, peraltro in sede di sequestro preventivo per l’inammissibilità di questioni attinenti alla motivazione, ma solo alla violazione di legge.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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