Un uomo è stato condannato per il reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, con la confisca dei cavalli già sequestrati.

Il reato era integrato per le condizioni dello stato dei luoghi, e in particolare dei box in cui erano ristretti i cavalli, ma anche sulle le dichiarazioni di testi qualificati, quali i funzionari della ASL e sui rilevi fotografici eseguiti.

Dall’istruttoria erano emerse carenze ambientali, ristrettezza dei luoghi e modalità di chiusura dei box che non consentivano nemmeno uno spazio adeguato antistante per la necessaria movimentazione quotidiana degli animali. Risultavano carenti anche le condizioni igieniche per uno stallone che “conviveva” con molti escrementi nel box; inoltre una puledra era estremamente magra e con ridotto sviluppo della massa muscolare della groppa e dei muscoli dorsali.

Il percorso pre penale si caratterizzava per segnalazioni e sopralluoghi nonché due ordinanze sindacali, atti che avevano fatto emergere la inidoneità dei luoghi di ricovero sia delle cavalle che dello stallone. Dopo il mancato adempimento delle prescrizioni imposte con la seconda ordinanza sindacale, veniva disposto il sequestro, perché erano evidenti le situazioni di sofferenza per gli animali, soprattutto collegate alla inesistenza di uno spazio esterno che consentisse i necessari movimenti quotidiani finalizzati al benessere dei cavalli.

Il sequestro preventivo era stato legittimamente eseguito dagli ufficiali di polizia giudiziaria del servizio veterinario asl, all’esito del decreto di perquisizione.

Gli animali sono stati confiscati e, in assenza di ente o associazione che faccia richiesta di affidamento e offra adeguate garanzie, l’obbligo di far fronte al loro mantenimento grava sul Comune in quanto Ente che vanta una posizione di garanzia rispetto al benessere degli animali presenti sul territorio (sez. 4 n. 18167 del 31.01.2017 rv 269805-01). Il tribunale si è riservato di provvedere con separata ordinanza circa l’affidamento agli enti che ne avrebbero fatto richiesta.

Avv. Annalisa Gasparre, specialista in diritto penale, foro di Pavia

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26/02/2019) 19-03-2019, n. 12104

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Montagni Andrea – Presidente –

Dott. Ferranti Donatella – rel. Consigliere –

Dott. Cappello Gabriella – Consigliere –

Dott. Ranaldi Alessandro – Consigliere –

Dott. Cenci Daniele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.G., nato a (………….);

avverso la sentenza del 31/01/2018 della Corte di cassazione di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Donatella Ferranti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Tampieri Luca, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

E’ presente l’avvocato ……….. del foro di …….. in difesa di V.G., che insiste per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. V.G. il 25.07.2018,a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia il 13.01.2017 con la quale è stato condannato per il reato di cui all’art. 727 c.p., comma 2, alla pena di 8000,00 Euro di ammenda con la confisca dei cavalli in sequestro. Il difensore ricorre anche avverso l’ordinanza del 5.10.2016 con cui il giudice ha rigettato l’istanza della difesa di assumere ex artt. 507 o 195 c.p.p., la testimonianza di L..

1.1 Va premesso che con sentenza di questa Sezione n. 1799 del 4.12.2018 è stata revocata la sentenza n. 8407/2018 pronunciata dalla Sezione terza della Corte di Cassazione in data 31.01.2018 che aveva dichiarato inammissibile perchè tardivo il ricorso sopra indicato.

2. Il difensore nel ricorso per cassazione lamenta quanto segue:

I) vizio di erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 727 c.p., comma 2; sostiene la difesa l’insussistenza dell’elemento oggettivo relativo alle gravi sofferenze degli animali richiesto per la sussistenza del reato per cui si procede;

II) omessa e contraddittorietà della motivazione, travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dai testi della difesa, ritenute erroneamente smentite dalla valutazione della documentazione fotografica richiamata in sentenza;

III) violazione di legge in quanto la responsabilità penale del V. è stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni dei testimoni in dibattimento senza valutarne la piena credibilità e attendibilità;

IV) contraddittorietà della motivazione in quanto non rispetta le risultanze processuali in ordine alla esistenza di condizioni di grave sofferenza degli animali;

V) erronea applicazione della legge penale in quanto non ha ritenuto necessaria l’assunzione della teste L. funzionaria del Ministero della Salute più volte menzionata dai testimoni escussi in dibattimento;

VI) nullità per violazione di legge ex art. 181 c.p.p., comma 4, del sequestro probatorio delle cavalle avvenuto il (……) che fu disposto solo per effettuare accertamenti che non potevano essere fatti durante il sopralluogo;

VII) erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 240 c.p., in quanto trattandosi di bene protetto dall’art. 727, non rientra nelle categorie di cui all’art. 240, comma 2, n. 2, non rappresentando cose la cui detenzione costituisce reato.

Motivi della decisione

1. I primi quattro motivi del ricorso possono essere trattati congiuntamente e devono qualificarsi come inammissibili in quanto esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke, Rv. 203428).

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato da tempo avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).

Il Tribunale ha argomentato in maniera logica e coerente i risultati del materiale probatorio e in proposito si osserva che ai fini della configurabilità del reato è sufficiente anche una sola condotta dolosa o colposa idonea a produrre sofferenze all’animale. (Sez. 3 n. 22039 del 21.04.2010 rv 247656-01).

Nel caso di specie la prova si fonda non solo sulle condizioni dello stato dei luoghi, e in particolare dei box in cui erano ristretti i cavalli, ma anche sulle le dichiarazioni di testi qualificati, quali i funzionari della ASL C., G. e sui rilevi fotografici eseguiti; dalla ricostruzione dei fatti effettuata dal Giudice del merito emergono carenze ambientali, ristrettezza dei luoghi e modalità di chiusura dei box che non consentivano nemmeno uno spazio adeguato antistante per la necessaria movimentazione quotidiana degli animali (foll. 3 e 4). Nel caso in esame si è constatato non solo le condizioni ambientali di estrema ristrettezza ma la carenza delle condizioni igieniche per uno stallone, stante la significativa presenza di escrementi nel box; mentre per la puledra è stata rilevata dal Ct del PM “la estrema magrezza con il ridotto sviluppo della massa muscolare della groppa e dei muscoli dorsali e la poca coordinazione nel movimento”. Il Tribunale nella motivazione ha evidenziato che il V. già dal 2013 era stato oggetto di segnalazioni e di conseguenti sopralluoghi oltre che di un’ordinanza sindacale emessa il 20.12.2013 rimasta senza esito; nel sopralluogo delll’8.09.2014 era emersa la complessiva inidoneità dei luoghi di ricovero sia delle cavalle che dello stallone cosicchè dopo l’ordinanza sindacale dell’11.09.2014, con la quale si imponevano prescrizioni da effettuarsi entro sette giorni, il (…….) era stato fatto il sequestro in quanto all’esito del sopralluogo era stato evidenziato che le situazioni di sofferenza per gli animali permanevano ed erano soprattutto collegate alla inesistenza di uno spazio esterno che consentisse i necessari movimenti quotidiani finalizzati al benessere dei cavalli (fol 1 e 2 teste C. e N.).

Deve rilevarsi che la valutazione effettuata dalla Tribunale è pienamente aderente alle risultanze probatorie e ricostruisce in maniera logica e coerente la dinamica dei fatti non risultando scalfita dalle censure difensive oggi reiterate, che si risolvono in rinnovati, meri apprezzamenti di fatto, cui la sentenza impugnata ha già congruamente risposto affermando raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio che l’imputato era consapevole dello stato di detenzione e conseguentemente di sofferenza degli animali.

1.2. Il quinto attinente al rigetto della richiesta di assunzione della teste ex art. 507 c.p.p., è manifestamente infondato in quanto il Giudice ha congruamente motivato che la funzionaria del Ministero della Salute aveva avuto solo una conoscenza indiretta della situazione concreta e che quindi nessun fatto di diretta percezione avrebbe potuto riferire di significato tale da costituire un necessario completamento della istruttoria.

1.3 Il sesto e il settimo motivo sono manifestamente infondati.

Risulta in atti che il sequestro preventivo, (non probatorio), è stato legittimamente eseguito dagli Ufficiali PG del Servizio veterinario ASL 3 Pistoia all’esito del decreto di perquisizione 4575/14 del 19.09.2014 e notificato al difensore del V. presso il quale aveva eletto domicilio (v. verbale udienza del 1.06.2016). Non risulta peraltro impugnato nei termini di legge (ex art. 322 c.p.p. e ss.).

E’ pacifico peraltro nella giurisprudenza di questa Corte che gli animali sono considerate “cose”, assimilabili – secondo i principi civilistici – alla “res”, anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo. Sez. 5, n. 231 del 11/10/2011 Cc. (dep. 10/01/2012) Rv. 251700 – 01.

Parimenti è manifestamente infondata la censura relativa alla confisca; l’art. 19 quater disp. att. c.p.p., dispone, infatti, che gli animali oggetto di confisca e sequestro sono affidati ad enti o associazioni che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministero della salute. Ove nessun ente o associazione faccia richiesta di affidamento od offra adeguate garanzie l’obbligo di far fronte al loro mantenimento grava dopo la confisca sul Comune in quanto Ente che vanta una posizione di garanzia rispetto al benessere degli animali presenti sul territorio (Sez. 4 n. 18167 del 31.01.2017 rv 269805-01).Orbene il Tribunale, nel caso di specie, nel disporre legittimamente la confisca si è riservato di provvedere con separata ordinanza circa l’affidamento agli enti che ne avrebbero fatto richiesta.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019

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