Ben due le aggravanti del furto commesso in spiaggia da un minorenne in concorso con altro minorenne non imputabile (età inferiore ai 14 anni): l’aver agito su cose esposte alla pubblica fede, cioè la borsa lasciata sotto l’ombrellone e l’aver agito in contesto tale da ostacolare la privata difesa.
Il Tribunale per i Minorenni ha invece escluso l’aggravante della destrezza.
In particolare, la Corte di cassazione, che ha confermato la condanna, ha precisato che in tema di aggravante dell’avere agito su cose esposte alla pubblica fede trova applicazione il principio per cui essa sussiste nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai bagnanti sulla spiaggia, in quanto rientra nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi tali oggetti da coloro che abbandonino temporaneamente la spiaggia per andare a fare il bagno.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Cass. pen., sez. IV, ud. 8 giugno 2022 (dep. 22 giugno 2022), n. 23940 – Presidente Piccialli – Relatore D’Andrea
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3 giugno 2020 la Corte di appello di Salerno, esclusa l’aggravante della destrezza e ritenuta la sussistenza delle aggravanti, in fatto contestate, di cui all’art. 61 n. 5 e 625 n. 7 c.p., ha confermato la decisione del locale Tribunale per i Minorenni del 12 dicembre 2019 con cui C.G., concesse le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le aggravanti, era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa, in quanto riconosciuto colpevole del delitto di furto aggravato, in concorso con un minore non imputabile, di una borsa e di valori contenuti al suo interno, tra cui un portafoglio, un orologio d’oro ed un cellulare, lasciati momentaneamente incustoditi dalla legittima proprietaria al di sotto di un ombrellone in spiaggia.
1.1. La Corte di appello ha, in particolare, provveduto ex officio ad escludere la circostanza aggravante della destrezza, di cui all’art. 625 n. 4 c.p., non ravvisando nella condotta perpetrata dal prevenuto una particolare agilità, sveltezza e callidità idonea ad eludere l’attenzione della parte lesa essendosi tale ultima allontanata autonomamente dall’ombrellone -, ed invece ravvisando, in tale comportamento, l’approfittamento di una condizione di minorata difesa, di rilievo ai sensi dell’art. 61 n. 5 c.p., oltre all’avere agito su cose esposte alla pubblica fede, ex art. 625 n. 7 c.p., tali essendo considerati, per consolidata interpretazione giurisprudenziale, gli effetti personali sottratti ai bagnanti sulle spiagge.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore, C.G. , deducendo, con un unico motivo: violazione del divieto di reformatio in peius in assenza di appello proposto dal Procuratore della Repubblica; nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. nella parte relativa alla configurazione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 61 n. 5 e 625 n. 7 c.p. per difetto di contestazione; manifesta illogicità della motivazione risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato.
Lamenta l’imputato l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione, nel caso di specie, dell’ipotesi prevista dall’art. 521 c.p.p., considerato che la Corte territoriale non si sarebbe semplicemente limitata ad apprezzare lo stesso tratto naturalistico del fatto reato valorizzato dal primo giudice sussumendolo in una differente fattispecie circostanziata, ma avrebbe valorizzato, con motivazione inadeguata e carente, un tratto naturalistico diverso del fatto di reato, ravvisando la ricorrenza di due nuove circostanze aggravanti, in violazione del divieto di reformatio in peius.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è privo di fondamento e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Il Collegio ritiene, infatti, che le valutazioni operate, nel caso di specie, dalla Corte territoriale in tema di configurazione delle circostanze aggravanti siano state svolte con piena correttezza giuridica, nel rispetto dei parametri interpretativi indicati da questa Corte di legittimità.
Così, in primo luogo, risulta giuridicamente corretta l’avvenuta esclusione, da parte della Corte di merito, della circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 4 c.p., in quanto conforme al generale principio per cui il giudice di appello è legittimato ad escludere di ufficio le circostanze aggravanti ritenute dal giudice di primo grado allorquando, ovviamente sulla scorta della ricostruzione fattuale contenuta nella stessa sentenza appellata, risultino insussistenti i corrispondenti requisiti, posto che il principio devolutivo vale a definire l’ambito della cognizione del giudice con riguardo al capo della sentenza impugnata, ma non può limitare il potere del giudice di dare la corretta qualificazione giuridica al fatto (cfr. in questi termini: Sez. 1, n. 9427 del 26/09/2017, dep. 2018, T., Rv. 272486-01; Sez. 6, n. 4124 del 14/12/2016, dep. 2017, Nicola, Rv. 269441-01).
3. Chiarito il superiore aspetto, assume poi rilievo, con specifico riguardo alle doglianze espressamente eccepite da parte del ricorrente, il fatto che la Corte di appello abbia correttamente operato la contestazione delle aggravanti di cui all’art. 61 n. 5 e 625 n. 7 c.p., ritenendo la ricorrenza della loro materialità nel fatto così come contestato in imputazione, nonché giudizialmente accertato, senza, pertanto, incorrere in alcuna violazione della norma dell’art. 521 c.p.p..
3.1. Ciò si conforma, infatti, al principio per cui, in tema di circostanze aggravanti, è ammissibile la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati – come nel caso in esame – comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (così, tra le altre, Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Saracino, Rv. 279335-01).
La descrizione del fatto materiale, perciò, delimita i termini della contestazione, a prescindere dall’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati e quale che sia la qualificazione giuridica che a quel fatto materiale possa essere attribuita. Solo l’indicazione del fatto, sufficientemente delineato secondo la particolarità delle varie fattispecie, permette di stabilire l’ambito dei temi di prova, per l’adempimento e l’esercizio tanto dell’onere della prova che dei diritti di azione penale e di difesa delle parti, che degli stessi pertinenti poteri e doveri del giudice del singolo processo.
4. Parimenti corrette sono, poi, le valutazioni giuridiche espresse dalla Corte di appello ai fini della contestazione delle due circostanze aggravanti configurate in sentenza.
4.1. Con riguardo, in primo luogo, all’ipotesi dell’aggravante dell’avere agito su cose esposte alla pubblica fede, di cui all’art. 625 n. 7 c.p., ha trovato, infatti, applicazione il consolidato principio per cui essa sussiste – “sub specie” di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede – nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai bagnanti sulla spiaggia, in quanto rientra nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi tali oggetti da coloro che abbandonino temporaneamente la spiaggia per andare a fare il bagno (cfr., in questi termini, Sez. 5, n. 14305 del 19/03/2008, Navantieri, Rv. 239488-01).
4.2. Allo stesso modo, la peculiarità del fatto contestato al C. appare coerente con (‘esegesi espressa da questa Corte di legittimità, per cui l’aggravante dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, di cui all’art. 61 n. 5), c.p., è integrata dalla ricorrenza di condizioni oggettive che siano concretamente agevolative del compimento dell’azione criminosa (così, tra le altre: Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Cannata, Rv. 279302-02; Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhi, Rv. 27687101).
5. In ragione delle superiori considerazioni, il Collegio ritiene, di conseguenza, di dover disporre il rigetto del ricorso.
La minore età dell’imputato al momento dell’integrazione dei fatti impone l’oscuramento dei dati riportati in sentenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Oscuramento dati.
Motivazione semplificata.
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