L’imputato aveva ricattato un sacerdote, estorcendogli denaro. Non si era trattato di aiuti economici, ma di una vera e propria estorsione per tacere della loro relazione sentimentale.
I giudici accertavano che le richieste di denaro erano continue, incessanti e assillanti e sottoponevano la vittima a un vero e proprio assedio, a fronte del quale la vittima si rassegnava a consegnare cifre intorno ai 10 mila euro.
Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto Penale – foro di Pavia
Cass. pen., sez. II, ud. 23 novembre 2021 (dep. 21 dicembre 2021), n. 46753 – Presidente Gallo – Relatore Pellegrino
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 25/02/2020, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Pavia in data 11/07/2017 che aveva condannato E.D.A. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per i reati di estorsione continuata aggravata (capo A) ed estorsione (capo B) commessi ai danni del sacerdote, don M.F.C.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di E.D.A., viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare, quale motivo unico, assenza di adeguata motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa, costituita parte civile, unica fonte di prova, di cui non era stata verificata l’attendibilità intrinseca ed estrinseca. La difesa ha ritenuto che il tenore dei messaggi intercorsi tra l’E.D. ed il C. si contraddistinguerebbero per i toni garbati e mai minatori utilizzati dal primo nei confronti del secondo, cui erano rivolte richieste di denaro in un’ottica di radicata e risalente consuetudine della persona offesa di aiutare economicamente l’imputato, anche dopo la fine della loro relazione sentimentale: secondo tale impostazione, l’iniziativa del C. di presentare denuncia doveva considerarsi una reazione per lo più di natura opportunistica nell’ambito del procedimento che veniva instaurato nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 609 undecies c.p..
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il motivo di ricorso è aspecifico e, comunque, manifestamente infondato perché tendente ad ottenere una rivalutazione della regiudicanda, senza un reale ed effettivo confronto con la sentenza impugnata che, rispondendo al relativo motivo di appello, peraltro non particolarmente specifico, ha evidenziato come le pretese incongruenze della testimonianza della persona offesa, a ragione della sua delicata posizione di ministro di culto che gli avrebbe impedito di intrattenere relazioni sentimentali e della sua conseguente condizione di soggetto facilmente ricattabile, andassero ridimensionate al cospetto degli elementi aliunde rinvenibili, che avevano confermato come le richieste di denaro avanzate dall’imputato al prelato fossero continue, incessanti e perfino assillanti.
2.1. Tali richieste, infatti, si ritrovavano puntualmente nella fitta messaggistica intercorsa tra l’imputato e la vittima, sottoposta ad un vero e proprio “assedio”, sia di giorno che di notte, posto in essere dall’imputato al fine di conseguire denaro, consistito in somme sino a 10.000,00/11.000,00 Euro, che sono state ritenute esulare dalla nozione di “prestito” ovvero di “erogazioni” liberali rimesse alla benevolenza del sacerdote.
In particolare, in numerosi messaggi si legge che il sacerdote, in diverse occasioni, cercava di resistere alle pressanti pretese adducendo l’impossibilità di disporre di tali somme, finendo da ultimo per cedere per una sorta di “sfinimento” ed anche per le ricorrenti allusioni dell’E.D. ai loro rapporti e all’interesse del prelato che non ne venisse data divulgazione (cfr., Sez. 2, n. 25122 del 14/05/2021, S., Rv. 281549, in fattispecie di estorsione sessuale assimilabile, arrestatasi alla fase tentativo, in cui l’agente, pur avendo acquisito lecitamente immagine fotografiche ritraenti parti intime di una donna, aveva richiesto a quest’ultima una somma di denaro o, in alternativa, prestazioni sessuali in cambio della consegna o comunque della cancellazione delle foto, minacciando, in caso contrario, di diffonderle ai familiari della donna).
2.2. I riscontri alle dichiarazioni accusatorie del C. provengono non solo dalla messaggistica telefonica ma anche dall’avvenuta consegna, verificata in un’occasione dagli agenti operanti, da parte della persona offesa all’E.D., della complessiva somma di Euro 500 in banconote contrassegnate, circostanza che portò all’arresto dell’imputato nonché dagli esiti della successiva perquisizione effettuata presso l’abitazione del sacerdote ove furono trovate le tracce di ingenti trasferimenti di denaro compiuti dallo stesso a favore dell’E.D., tramite assegni e versamenti postali, nell’ordine di alcune decine di migliaia di Euro.
2.3. L’impostazione della Corte distrettuale – che ha vagliato l’attendibilità intrinseca della persona offesa, raffrontando il narrato con i succitati elementi esterni di prova – pare rispettosa della giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214) secondo cui le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto, con un vaglio dell’attendibilità del dichiarante più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva.
2.4. Tuttavia – ed è proprio quello che la Corte di merito ha puntualmente eseguito – può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070; Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).
2.5. Ciò posto, ogni ulteriore vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa è precluso a questa Suprema Corte in ossequio al principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, che non si ravvisano nel caso di specie (in termini, cfr., Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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