Invia al figlio del suo ex compagno una lettera con contenuti denigratori: non è diffamazione – Cass. pen. 48489/2023
Una donna aveva scritto e fatto consegnare al figlio del suo ex compagno una lettura con contenuti denigratori nei confronti del padre. Per questo è stata condannata per il reato di diffamazione.
La Corte di cassazione ribalta la decisione.
La comunicazione in cui l’imputata criticava aspramente l’ex compagno era diretta al solo figlio minorenne; pertanto, era carente il requisito del delitto che richiede che la comunicazione avvenga nei confronti di più persone e che di ciò il reo abbia consapevolezza e volontà. Il reato sussiste anche quando l’autore comunichi con una sola persona ma con modalità tali che la notizia sicuramente venga a conoscenza di altri perché il documento è destinato ad essere visionato da più persone.
Il reato invece non sussiste se la diffusione della comunicazione confidenziale è opera del destinatario della confidenza in quanto manca la volontà del soggetto attivo di destinare alla divulgazione il contenuto della comunicazione.
Nel caso concreto, secondo la Suprema Corte, la lettera in busta chiusa era inviata al solo figlio minorenne e il fatto che il destinatario abbia condiviso il contenuto con altre persone è frutto di scelta discrezionale da cui non può discendere la consapevolezza dell’imputata circa la diffusione dei contenuti della lettera da parte del ricevente ad altri soggetti.
I giudici hanno quindi concluso affermando che in tema di diffamazione, una comunicazione offensiva dell’altrui reputazione diretta in via esclusiva ad un soggetto minorenne non integra in sé e per sé considerata la comunicazione a più persone necessaria ai fini della configurabilità del delitto.
Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in diritto penale – avvocatoannalisagasparre@gmail.com
Cass. pen., sez. V, ud. 24 ottobre 2023 (dep. 5 dicembre 2023), n. 48489 – Presidente Pezzullo – Relatore Giordano
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Venezia confermava la pronuncia di condanna di primo grado della ricorrente per il reato di diffamazione in danno di D.G. per aver scritto e fatto consegnare al figlio del predetto, D.R., all’epoca tredicenne, una lettera dai contenuti denigratori nei confronti del padre, ex compagno della R., prefigurandosi che il minore l’avrebbe fatta leggere ad altre persone.
2. Avverso la richiamata sentenza del Tribunale di Venezia, propone ricorso per cassazione la R., con il difensore di fiducia avv. , affidandosi a due motivi di ricorso, di seguito riportati, entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., erronea applicazione dell’art. 595 c.p. con riguardo alla configurabilità del delitto di diffamazione.
La censura formulata si incentra sul fatto che la comunicazione era diretta al solo minore D.R. , non restando dunque integrata sul piano oggettivo la comunicazione a più persone necessaria ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione, senza che, peraltro, il destinatario della lettera potesse considerarsi, in quanto minorenne, di per sé tenuto alla propalazione del contenuto di tale missiva ad altri soggetti.
Talché, soggiunge la difesa della R., la condanna si sarebbe fondata sulla mera congettura che la lettera era stata spedita prevedendo che il minore l’avrebbe fatta leggere ai genitori.
Nè, peraltro, ha argomentato ancora la ricorrente, per la configurabilità del delitto di cui all’art. 595 c.p., tra i due soggetti ai quali la comunicazione deve essere diretta può essere annoverata la stessa persona offesa, ossia il padre del destinatario che, come emerso nell’istruttoria, era stato in concreto il solo al quale il figlio mostrato la lettera della ricorrente e ne aveva poi reso noti egli stesso i contenuti ad altre persone.
2.2. Mediante il secondo motivo la R. assume, sempre ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), violazione dell’art. 595 c.p. con riguardo al profilo della ritenuta configurabilità dell’elemento soggettivo del contestato reato di diffamazione.
Il vulnus lamentato sotto tale aspetto si evincerebbe con chiarezza da un passaggio della medesima motivazione della pronuncia impugnata laddove non individua l’intenzione della ricorrente in quella di diffamare l’ex compagno, bensì di “demolirne” l’immagine agli occhi del figlio.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso, che possono essere valutati in maniera unitaria, sono fondati per le ragioni di seguito indicate.
Nella fattispecie in esame la R. – la quale ha rinunciato alla prescrizione – ha fatto recapitare la missiva nella quale criticava aspramente il proprio ex compagno, la persona offesa D.G., al solo figlio tredicenne di quest’ultimo.
Come noto, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 595 c.p. è richiesto che la comunicazione delle notizie di contenuto diffamatorio avvenga nei confronti di più persone e che di ciò il reo abbia consapevolezza e volontà.
È vero che il reato di diffamazione può essere integrato anche qualora l’autore comunichi con una sola persona, ma solo nell’ipotesi in cui ciò avvenga con modalità tali che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento (cfr., ex ceteris, Sez. 5, n. 34178 del 10/02/2015, Corda, Rv. 264982 – 01; Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, P.C. in proc. Selmi, Rv. 248431 – 01), perché l’espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone (Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016, dep. 2017, S., Rv. 269016 – 01).
Nella delineata prospettiva, nella giurisprudenza di legittimità si è ritenuto, ad esempio, che il requisito della comunicazione da parte dell’autore della frase lesiva con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri, sussista, tra l’altro, qualora le frasi offensive vengano inserite in un vaglia postale, che per necessità operative del servizio postale non resta riservato tra il mittente ed il destinatario (Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016, dep. 2017, S., Rv. 269016 – 01) ovvero quando sia inviata una denuncia al Procuratore della Repubblica e, per conoscenza, al Procuratore generale presso la Corte d’appello e al Presidente della Corte d’appello, in busta chiusa non recante la dicitura “riservata – personale”, essendo tale denuncia destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all’apertura e smistamento della corrispondenza (Sez. 5, n. 30727 del 08/03/2019, De Feo, Rv. 276525 01). Ancora, si è affermato, tra l’altro, che la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata di messaggi contenenti espressioni lesive dell’altrui reputazione integra il reato di diffamazione anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo “mail” di un pubblico ufficio, in quanto la certificazione garantisce la prova dell’invio e della consegna della comunicazione ma non ne esclude di per sé la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa (Sez. 5, n. 34831 del 23/10/2020, Di Vita, Rv. 280034-01).
Proprio la peculiarità delle ipotesi richiamate conferma che, tuttavia, di regola – peraltro in conformità al diritto costituzionalmente tutelato alla libera manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 Cost. – il requisito della comunicazione con più persone idoneo ad integrare il delitto di diffamazione non sussiste nel caso di comunicazione confidenziale la cui diffusione sia esclusivamente opera del destinatario della confidenza, in quanto manca un’espressa volontà del soggetto attivo di destinare alla divulgazione il contenuto della comunicazione (Sez. 5, n. 40137 del 24/04/2015, G., Rv. 265788 – 01).
In applicazione dei superiori principi, il collegio ritiene che, nella fattispecie concreta, a fronte dell’invio della lettera in busta chiusa al solo D.R. la mera circostanza che quest’ultimo fosse minorenne all’epoca dei fatti non poteva ex se far considerare la comunicazione indirizzata a più persone, vieppiù in ragione della circostanza che si trattava di un adolescente, talché la ricorrente non avrebbe potuto prefigurarsi un’apertura della busta da parte del genitore convivente, nè, più in generale, un’ostensione del contenuto della medesima busta ad altri soggetti.
In sostanza, l’eventualità che il destinatario rendesse noto l’invio e i contenuti della missiva ad altre persone era rimessa all’esclusiva e discrezionale iniziativa dello stesso, circostanza che non è pertanto idonea a dar conto della consapevolezza dell’imputata circa la diffusione del contenuto della lettera da parte del ricevente ad altri soggetti (cfr. Sez. 5, n. 34178 del 10/02/2015, Corda, Rv. 264982 – 01, in motivazione).
Il ricorso deve quindi essere accolto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:
“In tema di diffamazione, una comunicazione offensiva dell’altrui reputazione diretta in via esclusiva ad un soggetto minorenne non integra in sé e per sé considerata la comunicazione a più persone necessaria ai fini della configurabilità del delitto”.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
2. Nell’ipotesi di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D. Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 del in quanto imposto dalla legge, in ragione del coinvolgimento di un minore.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D. Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
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