Una donna è stata ritenuta colpevole del tentato furto in stato di bisogno (art. 626 c.p.) per aver cercato di impossessarsi di generi alimentari di tenue valore (inferiore ai 60 euro).
Difesa e accusa concordavano nella richiesta dello stato di necessità ex art. 54 c.p., atteso che vi sarebbe stato il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile. Nel rapporto dei Carabinieri intervenuti sul luogo, si riferiva che la persona indagata era malnutrita, estremamente debole, in condizioni fisiche compatibili con quelle di una donna gravemente malata.
Per la Suprema Corte, però, è corretta l’interpretazione dei giudici di merito: la fattispecie non rientra nell’esimente dello stato di necessità bensì in quella del c.d. furto minore. Le due ipotesi hanno elementi in comune, ma mentre l’art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l’art. 626, n. 4, prescinde da questa condizione e richiede soltanto l’urgenza del bisogno, la quale può profilarsi anche in mancanza di un pericolo attuale come quello che caratterizza lo stato di necessità (“se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno”).
Inoltre, il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che occorre una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa.
Per i giudici, dunque, non si era in presenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile ma di un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita tale da stimare evitabile l’azione furtiva.
Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale – avvocatoannalisagasparre@gmail.com
Cass. pen., sez. IV, ud. 13 giugno 2023 (dep. 25 settembre 2023), n. 38888 – Presidente Dovere – Relatore Cenci
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Milano il 13 aprile 2022 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall’imputata, con cui il Tribunale di Milano il 26 novembre 2019, all’esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto A.V. responsabile del reato di tentativo di furto in stato di bisogno (art. 626, comma 1, n. 2, c.p.) di generi alimentari di tenue valore (59,42 Euro), fatto commesso il (omissis), con le aggravanti di avere agito su cose esposte alla pubblica fede e della recidiva, aggravanti stimate equivalenti alle concesse attenuanti generiche, e, in conseguenza, operata la diminuzione per il rito, la ha condannata alla pena pecuniaria stimata di giustizia.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputata, tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un solo motivo con cui denunzia promiscuamente violazione di legge (art. 54 c.p.) e vizio di motivazione, che sarebbe manifestamente illogica.
Ritiene la ricorrente illegittimo ed erroneo il mancato riconoscimento della esimente dello stato di necessità invocata dalla Difesa sia in primo grado che nell’atto di appello, esimente peraltro richiesta anche dal P.M. del Tribunale. Infatti, sussisterebbe “il pericolo attuale di un danno grave alla persona”, pericolo non altrimenti evitabile, come si desume dalle stesse parole impiegate dai Carabinieri nel rapporto (utilizzabile atteso il rito prescelto) e riferite dai Giudici di merito: si tratta di persona malnutrita, estremamente debole, in condizioni fisiche apparse già agli operanti “compatibili con quelle di una donna malata” ed inoltre gravemente malata, sicché la “moderna organizzazione sociale” che si prende cura dei più deboli, richiamata dai Giudici di appello (alle pp. 4-5), risulta per facta concludentia non essere stata in grado di arginare la malnutrizione e la estrema debolezza di una donna, appunto, gravemente malata, come dimostrato documentalmente dalla Difesa nel dibattimento di primo grado e ribadito nell’atto di appello (p. 1, nota num. 1).
3. Il P.G. della S.C. nella requisitoria scritta del 15 maggio 2023 ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2. Deve preliminarmente rammentarsi che, secondo consolidati principi anche risalenti nel tempo e che appare opportuno qui ribadire, “La situazione preveduta dall’art. 626, comma 1, n. 2, c.p., pur avendo alcuni elementi in comune con quella contemplata nell’art. 54, appare tuttavia da questa ben distinta: mentre infatti l’art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l’art. 626, n. 4, prescinde da questa condizione e richiede soltanto l’urgenza del bisogno, la quale può profilarsi anche in mancanza di un pericolo attuale come quello che caratterizza lo stato di necessità” (Sez. 2, n. 239 del 16/02/1966, Luser, Rv. 101554) e “Il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che il furto di 61 confezioni di lamette e di 2 confezioni di assorbenti, per un valore totale di 886 Euro, potesse configurare l’ipotesi attenuata)” (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261658).
Tenuta presente tali puntualizzazioni, occorre convenire sulla correttezza del percorso argomentativo, non illogico nè incongruo, che si rinviene nelle sentenze di merito, ove si è esclusa la sussistenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile (ciò che avrebbe scriminato l’azione: art. 54 c.p.), mentre si è ritenuto sussistente un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita ma, comunque, stimando evitabile l’azione furtiva (qualificando conseguentemente l’agire ex art. 626, comma 1, num. 2,c.p.)
3.AI rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente, per legge (art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese.
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